di Francesco Piccioni

La legge è uguale per tutti. E soprattutto, di questi tempi, serve a tutelare i più deboli. Specie se la controparte si chiama «Fiat modello Marchionne».
I metalmeccanici della Fiom hanno accolto con compostezza la pubblicazione della sentenza della Corte d'Appello di Roma che ribadisce un concetto semplice, già espresso in primo grado dal giudice del lavoro: nelle assunzioni della newco Fip (Fabbrica Italia Pomigliano) c'è stata «discriminazione collettiva» perché nessun iscritto alla Fiom è stato fatto rientrare tra i 2.000 «neo-assunti». Siccome la Fiat sembra dura d'orezzhio e non intende la necessità di rispettare, se non le leggi, almeno le sentenze dei tribunali, la stessa Corte dà 40 giorni di tempo al Lingotto per riassumere - intanto - i 19 lavoratori che hanno fatto ricorso individualmente, con nome e cognome, insieme alla Fiom.

Nel loro caso, infatti, è stata riconosciuta anche una «discriminazione individuale».
Per altri 126 - fino a raggiungere il totale di 145 persone, l'8,75% dei dipendenti attuali, che è esattamente la percentuale deglii ex di Pomigliano iscritti alla Fiom - ci saranno invece sei mesi di tempo. L'elenco dei candidati alla riassunzione dovrà, specifica la sentenza, esser fornito dalla stessa Fiom e dovrà rispettare le tessere realmente attive al momento dell'avvio della causa.
È una svolta secca, bisogna ammettere. Come ha immediatamente sottolineato il segretario generale dell Fiom, Maurizio Landini, «è una sentenza che ha valore generale, non a favore della sola Fiom; sancisce la libertà del singolo lavoratore di scegliersi il sindacato che vuole e il suo diritto a non essere discriminato per questo». Qualsiasi sindacato, anche quelli che non hanno firmato contratti nazionali o aziendali, ma che possono certificare un consenso in termini di iscritti. È insomma una libertà della persona, non del sindacato.
Ma anche l'espetto «esecutivo» ha una notevole importanza. Il Lingotto, anche prima dell'ascensione di Marchionne, coltiva da sempre l'antipatica abitudine di attendere con (proprio) comodo il momento in cui rispettare una sentenza avversa. Un modo per ribadire, a dispetto di tutto, «chi comanda qui». Ora deve invece sbrigarsi ad avviare le pratiche di assunzione.
Sia Landini che i quattro delegati arrivati di corsa da Pomigliano restano cauti. «È l'ennesima ordinanza di un tribunale italiano che, per comportamento antisindacale o discriminazione, condanna la Fiat a rispettare le leggi e la Costituzione. Ci sembra ora che anche le forze politiche, il governo, le istituzioni, rivendichino il rispetto dovuto alle norme di questo Paese». Un invito a esprimersi rivolto soprattutto «quelle forze politiche che si candidano a costituire un governo» diverso dall'attuale dopo le prossime elezioni d'aprile.
In qualche modo, c'è persino l'invito rivolto a Marchione: «se è mal consigliato, cambi i suoi consiglieri; fin qui non gli hanno portato grandi risultati, riguardo all'Italia». Perché «il nostro è un ragionamento strettamente sindacale: se uno si abitua a trattare soltanto con le organizzazioni che dicono sempre 'sì' ed escono dagli incontri dicendo che tutto va bene, poi non riesce a risolvere i problemi». Un esempio? La Fiom sostiene che la riassunzione, come scritto negli stessi accordi imposti da Fiat con un ricatto, deve riguardare «tutti gli oltre 4.300 ex dipendenti». Davanti alle facce stupite dei cronisti, Landini conferma: «sappiamo bene che c'è un momento difficile per l'auto, e per Fiat è più difficile che per altri marchi. Ma Volkswagen ha affrontato momenti altrettanto difficili senza licenziare nessuno. Con i contratti di solidarietà, a orario ridotto e con l'integrazione di cig, ha mantenuto tutte le competenze attive e poi è stata in grado di ripartire». E anche icontratti di solidarietà non sono una novità per Fiat: «all'Iveco funzioano ancora, e li avevamo contrattati noi».
Certo, ci vorrebbe un governo che - al contrario dell'attuale - non cercasse soltanto di eliminare il contratto nazionale a favore di quello aziendale, allungare l'orario di lavoro, ecc. Ma «se la Fiat crede davvero nei suoi progetti dichiarati e vuole davvero restare in Italia, gli strumenti per gestire una fase difficile si possono discutere». Un sindacato libero, che sa ragionare con la propria testa e sa dire anche dei «no» quando è necessario, diventa un pungolo per la «creatività» dell'impresa. Cosa che non avviene se «dei sindacati di minoranza, che hanno insieme meno iscritti di quanti non ne abbia la Fiom da sola, possono firmare accordi poi validi per tutti».
Su tutta la vicenda, e sulla piazza di oggi, pende la spada di Damocle della trattativa sulla «produttività». Con il governo che preme per eliminare il «punto Ipca» (un pallido surrogato del punto di contingenza, depurato della «componente energetica importata» e altre voci) e non modificare lo schema autobloccante della rappresentanza aziendale (la «riserva di un terzo» nelle Rsu a favore di Cgil, Cisl e Uil). La chiusura del ragionamento - ancora una volta indirizzato alla «politica» perché dica qualcosa nel merito - verte dunque sulla «conferma del ruolo centrale del contratto nazionale» e «l'applicazione dell'accordo del 28 giugno» per quanto riguarda una «seria misurazione della rappresentanza sindacale».
C'è infatti «un attacco alla democrazia e al lavoro in fabbrica che coincide con l'attacco ai diritti di tutti». Anche per questo, nella sala di fianco, si andavano raccogliendo le firme per i referendum sull'art. 18 e contro l'art. 8 della «manovra d'agosto» dettata dalla troika Bce-Ue-Fmi. Perché ci sia ancora una legge in grado di tutelare il più debole: chi lavora, «La notizia del respingimento del ricorso della Fiat contro la decisione del Tribunale di Roma, che aveva condannato l'azienda per comportamento discriminatorio contro i lavoratori della Fiom, è molto positiva e pone fine a un'inaccettabile vicenda». E' il commento siddisfatto dell'ex leader della Cgil Sergio Cofferati, eurodeputato del Pd: «I comportamenti discriminatori che la Fiat ha messo in campo a Pomigliano sono solo uno dei tanti episodi negativi che hanno caratterizzato in questi anni le relazioni industriali instaurate dal gruppo torinese e il suo atteggiamento verso i lavoratori. Il ricatto di Fabbrica Italia, basato sulla promessa d'investimenti che mai verranno messi in campo, sulla compressione dei diritti e delle condizioni materiali dei lavoratori e sulla vergognosa esclusione dalle fabbriche dei sindacati che non firmano gli accordi, deve cedere il passo a un piano industriale moderno e onesto, concertato con le autorità pubbliche e con tutti i sindacati e che si fondi sull'innovazione nei prodotti e sulla qualità. Solo in questo modo si potrà garantire una presenza positiva del Gruppo Fiat in Italia».
«La sentenza della Corte di appello di Roma rende giustizia a quei lavoratori che, decidendo di iscriversi ad un sindacato, pretendono di non essere per questo discriminati nel lavoro». E' il commento di Cesare Damiano (Pd).
«È una vittoria dei lavoratori e del sindacato dei metalmeccanici», dice Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione-Fds secondo cui «bisogna allargare la mobilitazione contro lo scempio dei diritti che sta facendo il governo tecnico».
«Bene la sentenza della Corte d'appello di Roma, ora il governo convochi l'azienda al più presto». È quanto chiedono il presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, e il responsabile Lavoro e Welfare del partito, Maurizio Zipponi.

 

il manifesto 20 ottobre 2012

 

 

 

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