di Livio Pepino

La montagna ha partorito il topolino. Non senza qualche inganno.
Un secolo fa le indagini di Mani pulite sembravano avere «girato l'Italia come un calzino». Ma, nonostante le inchieste, gli arresti, i dibattimenti, le condanne, la mobilitazione della piazza e della stampa, i processi di allora non hanno lasciato tracce durature nel sistema.

A poco a poco, i fattori extragiudiziari che avevano favorito inchieste e processi si sono modificati e i promessi interventi istituzionali tesi a prevenire e disincentivare la corruzione sono come evaporati.

Alla fine, il cuneo aperto con Mani pulite si è rinchiuso confermando la regola secondo cui la giustizia può colpire alcuni forti ma alla lunga, senza cambiamento politico, è impotente di fronte alla categoria dei forti complessivamente considerati.

Accade così che, a pochi lustri dai processi per la Tangentopoli milanese, due loro protagonisti concludano amaramente che «Mani pulite è stata inutile, ma anche controproducente: inutile perché non mi pare che abbia causato un contenimento della corruzione; controproducente perché ha confermato il senso di impunità che già prima accompagnava questo tipo di reati» (Gherardo Colombo) e che «per l'attività di contrasto alla corruzione in Italia potrebbe rivelarsi addirittura profetico quanto Joseph Roth scriveva a proposito della protagonista di uno dei suoi racconti: "Nessuno aveva desiderato che restasse in vita e perciò era morta"» (Piercamillo Davigo). È in questo contesto che si colloca l'approvazione del disegno di legge sulla corruzione.
Per valutarlo è necessario confrontarlo con le esigenze emerse nei processi degli ultimi anni. Cosa hanno insegnato quei processi? In breve e limitandosi al settore penale: per arginare le diverse forme di corruzione è necessario, per quando riguarda l'aspetto penale, precisarne e ampliarne le ipotesi, rendere punibili alcune condotte ad esse prodromiche, potenziare gli strumenti di accertamento, prevedere tempi di prescrizione commisurati alle difficoltà di accertamento (per evitare la regola del proscioglimento per estinzione del reato che caratterizza gran parte dei relativi processi).
Sembra incredibile ma il disegno di legge approvato dal Senato non dà risposta soddisfacente a nessuna di queste esigenze, nonostante le aspettative che lo hanno accompagnato. Il ministro della giustizia definisce «grilli parlanti» i critici della sua creatura. Ma i fatti hanno la testa dura e dicono cose diverse. Manca, nel testo approvato dal Senato, ogni cenno al falso in bilancio, al cosiddetto "autoriciclaggio" e allo scambio elettorale in cui il corrispettivo del voto sia una utilità diversa dal denaro (per esempio un impiego...), che continueranno, dunque, a restare impuniti. Il più grave tra i reati dei pubblici ufficiali, la concussione (consistente nel procurarsi denaro o altre utilità abusando della propria funzione), viene depotenziato in maniera significativa: l'ipotesi più frequente, quella della cosiddetta concussione per induzione, viene configurata come reato autonomo con consistente riduzione di pena. I reati introdotti ex novo - il traffico di influenze e la corruzione tra privati - sono caratterizzati da pene ridotte o da un'ampia punibilità a querela, che ne renderanno residuale la concreta applicazione. Gli strumenti di accertamento a disposizione della magistratura sono limitati (nelle indagini per traffico di influenze, per esempio, non sono consentite le intercettazioni telefoniche) e talora addirittura diminuiti (come nella concussione per induzione in cui, essendo prevista la punibilità anche del concusso, saranno limitatissime le denunce e le collaborazioni). I meccanismi della prescrizione restano invariati e comporteranno talora - grazie, per esempio, alla diminuzione della pena per la concussione per induzione - tempi ancora più brevi (realizzando così un salvacondotto per alcuni imputati di processi in corso, tra i quali Filippo Penati e Clemente Mastella).
C'è quanto basta per concludere che i dati negativi prevalgono su quelli positivi e che siamo di fronte a una operazione tutta mediatica che, al di là delle apparenze, non renderà certamente più efficace il contrasto alla corruzione. Altro miracolo del governo dei tecnici!

 

il manifesto 20 ottobre 2012

 

 

 

 

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