di Luca Casarini

Un uomo di 66 anni è l’ennesima vittima della violenza della polizia in Grecia. Non può che iniziare così qualsiasi ragionamento su ciò che sta accadendo. L’immagine, terribilmente plastica per essere la testimonianza di qualcosa di così pesante come la trasformazione in stato di polizia di ogni piazza che protesta in Europa, è in realtà quella degli ultimi due anni. La gente greca protesta, continua a mobilitarsi, non molla. E’ la parte attiva di un paese devastato socialmente dalle ricette della troika, della Banca centrale, del Fondo Monetario, che hanno uno alla volta e tutti insieme, riportato all’800 il livello dei diritti e delle garanzie e proiettato contemporaneamente al tempo di Blade Runner la maniera di estrapolare profitti e di privatizzare la vita.

La Grecia, quella che abbiamo imparato a conoscere oggi, è una società dove 400.000 bambini sono malnutriti. La gente scende in piazza, resiste, prova a rompere le barriere che isolano il parlamento dalla piazza, dalla città, dalla democrazia.

Ma una cosa salta agli occhi: qui si sfida la violenza brutale dei poliziotti, si sciopera, si manifesta, ma è chiaro che nessuna decisione verrà presa all’interno di quei palazzi assediati.

E dunque che nessuna pressione potrà sortire grandi effetti. Affiancata all’immagine di Atene, dei suoi morti in piazza, degli arresti, dei gas e delle retate, vi è quella scintillante, del vertice dei leader europei del Consiglio europeo. E’ lì, e non in Grecia, che le decisioni vengono prese. E’ quello il luogo che ha già avocato a sé la sovranità, in un triangolo perverso di potere dove il polo rappresentato dai governi nazionali è assolutamente subalterno ai boards delle grandi banche d’affari globali. Risulta chiaro che la dimensione di ciò che sta accadendo in Grecia, in Italia, in Spagna, in Portogallo in merito agli effetti delle politiche di austerity, è una dimensione almeno europea. E dunque come sostenere chi lotta, chi resiste, chi continua a scendere nelle piazze se non affermando che è lo spazio politico europeo lo spazio del conflitto, dell’alternativa, l’unico che può permettere a loro, a quelle migliaia di donne e uomini in marcia verso un muro, in ogni singolo paese e in tutta europa contemporaneamente, di riuscire ad avere ragione di quei poliziotti e di quelle barriere?

A questo proposito basterebbe considerare importante tutto ciò che realmente, in termini di lotta e di partecipazione, si muove.
Ad esempio il prossimo 14 novembre in Grecia, Spagna e Portogallo ci saranno scioperi generali, manifestazioni, blocchi.
Il 16 in Italia la Fiom ha lanciato lo sciopero dei metalmeccanici ma molti, a partire dalle reti studentesche, stanno discutendo di come trasformare quella giornata in una mobilitazione generale contro il governo, l’austerity, le politiche europee da fiscal compact.
Ma allora perché non provare ad unire queste iniziative, a far diventare un unico grande e unitario sciopero sociale europeo quello che dalle strade della penisola iberica, passando per Lisbona, Atene e Salonicco, e per le tante piazze italiane, possa provare a mettere in crisi quelli che la crisi vogliono farla pagare a tutti noi?
Perché non pensare, oltre a OccupyMonti in Italia, ad “Occupyeurope” lo stesso giorno in ogni paese del continente?

 

globalproject.info

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