di rassegna.it
C'è anche la norma 'anti-Gabanelli' tra gli emendamenti al ddl diffamazione a mezzo stampa, all'esame della commissione Giustizia del Senato sulla scia del caso Sallusti. Una proposta di modifica del provvedimento a firma del senatore Pdl, Giacomo Caliendo, (che ha fatto proprio un emendamento del collega Antonino Caruso) propone infatti di considerare "nulle" tutte le clausole contrattuali che prevedano che l'editore tuteli il giornalista accollandosi, ovvero facendosi garante nei confronti del giornalista stesso, le conseguenze economiche delle sanzioni (pene e risarcimento danni) in seguito al lavoro giornalistico.
Un caso che ha reso noto ai non addetti ai lavori questa tutela fu quello della giornalista Milena Gabanelli di Report a cui tempo fa la Rai voleva sospendere in sede di rinnovo contrattuale la clausola di manleva. Ecco che "sono nulle - recita l'emendamento - le clausole contrattuali in forza delle quali gli autori dei reati di cui al comma 1 (commessi a mezzo stampa, ndr) sono sollevati, in tutto o in parte, dagli oneri derivanti dal pagamento delle pene pecuniarie" e al risarcimento danni come recita il comma successivo "loro comminate a seguito dell'accollo degli stessi da parte delle altre persone indicate nello stesso comma (proprietario della pubblicazione, esercente dell'impresa giornalistica o l'editore, ndr)".
Nel primo comma l'emendamento richiama la legge sull'editoria e stabilisce che 'per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili in solido con gli autori del reato e fra di loro il proprietario della pubblicazione, l'editore' a cui aggiunge anche la figura dell'eserecente dell'impresa giornalistica'. Nella prima formulazione del testo, poi decaduto, a firma del senatore Caruso era anche previsto che, in caso di recidiva, la diffamazione a mezzo stampa poteva essere giusta causa di lecenziamento del giornalista. Questa parte della norma e' stata soppressa nel subemendamento Caliendo.
Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky critica il testo senza mezzi termini: "Neppure il fascismo - afferma in un'intervista a Repubblica - aveva previsto una disciplina del genere. Il codice penale prevede lo schermo del direttore responsabile e tutto, da allora, è riconducibile a quella figura. Nel momento in cui però si estende la responsabilità all'editore, allora il sistema di garanzie e di diritti, il delicato equilibrio che è alla base del diritto di informare e di essere informati rischia di essere compromesso".
Nel caso specifico del direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, afferma Zagrebelsky, "la pena detentiva è prevista dalla legge penale e il problema dell'adeguatezza della pena è annoso, non nuovo. Va detto però che nel caso dell'articolo in questione non si tratta di opinioni ma del'attribuzione di fatti determinati risultati palesemente falsi. Il reato consiste nell'omessa vigilanza circa un fatto che non riguarda la libertà di opinione. Si può discutere se il carcere sia la misura più appropriata".
E, secondo il costituzionalista, "siamo di fronte a una valutazione politica, di opportunità: stabilire se il carcere è adeguato, proporzionato o utile. La mia risposta è no, il carcere non è adeguato". Meglio "una sanzione pecuniaria" e "l'intervento degli ordini professionali".