di Vladimiro Giacchè
Nel dibattito politico italiano la tentazione di eludere il merito dei problemi fa premio su tutto il resto. Le reazioni all’appoggio del finanziere Davide Serra a Matteo Renzi non fanno eccezione. Ironizzare sulle società offshore di Serra era la cosa più semplice da fare. Sicuramente meno faticoso che entrare nel merito di ciò che Serra propone. A noi sembra invece che l’occasione di parlare di programmi non debba essere fatta cadere. Vediamo quindi cosa dicono Serra e Renzi. Di giusto e di sbagliato.
Problema del debito
Tra le cose giuste c’è un’analisi impietosa dell’evasione fiscale e del suo contributo al debito pubblico nel nostro paese.
Le tasse non pagate da un’economia sommersa che vale il 17,5 del prodotto interno lordo (e che, come afferma Serra, non è mai stata combattuta sul serio) ammontano in 20 anni, di per sé sole, a un rapporto debito/pil del 60%. Giusta l’insistenza sul fatto che i lavoratori dipendenti pagano oltre 9 volte le tasse pagate dai lavoratori indipendenti (che però sono il 32% del totale). Corrette anche le osservazioni su un sistema tributario troppo complesso, con qualcosa come 720 diverse agevolazioni (il cui controllo ovviamente appesantisce non poco il lavoro degli uffici). Quindi è giusto chiedere, come viene fatto, normative tributarie più semplici e chiare e un recupero dell’evasione che consenta di ridurre le tasse a chi le paga (imprese e persone fisiche). Un po’ semplicistico, invece, ritenere che il contante rappresenti l’“unico modo per combattere l’evasione”.
La parte più discutibile delle analisi di Serra riguarda invece la spesa pubblica. Qui c’è un uso un po’ disinvolto dei dati. Si lascia in ombra il fatto che la spesa italiana per gli stipendi pubblici rispetto al Pil è inferiore a quella di Francia, Spagna e Regno Unito, e superiore solo a quella della Germania (che però ha un pil molto superiore al nostro). Che il numero dei dipendenti pubblici in proporzione agli occupati è molto inferiore a quello di Francia, Regno Unito e Spagna, e superiore solo a quello della Germania. Si dimentica che tra i paesi Ocse l’Italia è al quart’ultimo posto quanto al numero dei dipendenti pubblici in rapporto alla popolazione (5,8%), e che tra i Paesi europei l’Italia è l’unico paese (con il Portogallo) dove i dipendenti pubblici sono diminuiti di oltre il 4% negli ultimi 10 anni. E si punta tutto sulla spesa per dipendente (superiore ad altri paesi). Perché non prendere invece la spesa complessiva per i dipendenti pubblici? Semplice: perché in Italia è di 172 miliardi, nel Regno Unito e in Germania di 194 miliardi, e in Francia addirittura di 259 miliardi.
Altro tema su cui l’uso dei dati è piuttosto opinabile è quello delle pensioni. La spesa pensionistica, ci dice Serra, nel 2010 è stata pari al 15,3% del prodotto interno lordo, a fronte di un 14,6% della Francia, di un 10,8% della Germania e via a scendere. Ma nello stesso grafico proposto si vede molto bene che questa spesa non crescerà di qui al 2050, mentre tutti gli altri paesi vedranno aumentare la loro in misura significativa. Del resto è ben noto a chiunque che il trattamento pensionistico italiano, grazie alle ultime “riforme”, è ormai tra i meno generosi del continente. E che molti paesi europei (Germania in testa) massaggiano un po’ le loro statistiche allocando diversamente le poste di bilancio relative alle pensioni.
Competitività
Anche sulla competitività osservazioni corrette sono unite ad altre molto poco condivisibili. È vero che siamo troppo poco presenti nell’export di tecnologia, ma andrebbe aggiunto che nell’export di macchine strumentali siamo ai primi posti nel mondo. È vero che c’è troppa corruzione, ma non è vero che le tasse pagate dalle imprese sono le più elevate del mondo. E’ vero che la produttività del lavoro in Italia cresce troppo poco, ma questo dipende dai bassi investimenti in macchinari e in tecnologia delle imprese, e non da aumenti dei redditi da lavoro del 38% (sic!) dal 2000 al 2011: secondo i dati Istat i redditi da lavoro nel periodo considerato sono cresciuti soltanto del 2% rispetto all’inflazione (e quel piccolo vantaggio è stato perso nel 2012). È vero che il costo dell’energia è troppo alto, ma la soluzione non è il nucleare (e infatti la Francia, nonostante il nucleare, ha una bilancia commerciale molto peggiore della nostra). E il fatto che gli incentivi per le rinnovabili siano stati “malamente concepiti” (cosa indubbia) non significa che non si debba puntare sulle rinnovabili.
Le soluzioni.
E veniamo alle soluzioni. Per quanto riguarda il fisco, Serra propone di abbassare di un punto percentuale sia le tasse sulle imprese che quelle sul lavoro dipendente (costo: 32 miliardi). Le risorse a questo scopo andrebbero reperite aumentando la tassazione delle rendite finanziarie dal 20% al 30% (circa 1 punto di pil), e la parte restante (un altro punto di pil) con il recupero dell’evasione e la “riduzione degli sprechi”. E arriviamo alla parte meno originale delle proposte di Serra: taglio della spesa pubblica e privatizzazioni. Nel primo caso si suggerisce una “spending review a livello capillare”, formula passepartout ormai un tantino abusata. Quanto alle dismissioni del patrimonio pubblico, il progetto è senz’altro ambizioso, ma né nuovo né convincente: cessione di immobili per 70-80 miliardi di euro (impossibile con la situazione di mercato attuale, e potenzialmente dannosa per i conti pubblici quegli immobili dovranno poi essere presi in affitto dallo Stato), cessione di partecipazioni per 40 miliardi di euro (non è chiaro se ci si riferisca alle municipalizzate o alle poche imprese strategiche rimaste in mani pubbliche, ma in entrambi i casi sarebbe la cosa sbagliata da fare), e capitalizzazione delle concessioni per 30 miliardi (dato fantasioso).
Quanto alla competitività, giusto proporre di focalizzarsi su istruzione e ricerca per produrre ed esportare prodotti tecnologicamente avanzati, ma è dubbio che la formula “no avvocati e politici, + scienziati e ingegneri” (!) sia la soluzione.
Servono invece forti investimenti pubblici in formazione, in ricerca e sviluppo tecnologico, come nell’informatizzazione della pubblica amministrazione. La strada dei tagli indiscriminati della spesa e di una (ulteriore) riduzione del ruolo dello Stato nell’economia impedisce di effettuare oggi questi investimenti, e il dogma della riduzione del debito imposto dal “fiscal compact” li vieta di fatto anche per il futuro. Su questo punto, però, Serra non si pronuncia.
Noi, invece, gradiremmo che nelle prossime elezioni ci si potesse esprimere anche su questo.
marx21.it