di Alfonso Gianni
Nel suo quarto, e ultimo per l’anno in corso, Rapporto di previsione presentato recentemente a Bologna, Prometeia si interroga se sia possibile per il nostro paese evitare di richiedere l’aiuto della Bce. La sua risposta è non solo negativa, ma costituisce addirittura un invito al nostro governo a farlo il più presto possibile e comunque prima della Spagna.
Il ragionamento dei ricercatori del noto istituto di ricerca si fonda sulla convinzione che il rispetto dei vincoli impostici dal fiscal compact, ratificato questa estate dal nostro parlamento, comporti una riduzione dei rendimenti dei nostri titoli a lunga scadenza.
Ciò deriverebbe dalla riduzione del differenziale fra Btp e Bund tedeschi, il famoso spread, che dovrebbe situarsi sotto i 300 punti base nel 2014 per attestarsi attorno ai 200 alla fine del 2015.
Tuttavia Prometeia è scettica sulla possibilità che l’Italia possa farcela da sola. Come si vede la valutazione è molto distante da quella orgogliosamente avanzata dal ministro Grilli. Infatti, dice Prometeia, la struttura economica dell’Italia è troppo fragile per fare tutto da sola ed è esposta a ogni refolo di vento contrario. Come si sa le previsioni sono fosche. Anche se Prometeia assicura che abbiamo toccato il fondo del barile e che quindi non possiamo che rimbalzare verso l’alto, tutto ciò avverrebbe molto lentamente. Nel 2013 si dovrebbe avvertire una stentatissima ripresa, fondata soprattutto sul rallentamento della caduta della produzione industriale. Ma l’anno si chiuderebbe ugualmente in negativo, con un -0,3%, quindi a livelli ben lontani dalla situazione pre crisi, quella anteriore al 2007.
Né il 2014, nel quale si prevede una crescita del Pil di un punto, né il 2015 con il suo punto e mezzo in più, hanno la forza di farci sognare. Nel frattempo, anche se non ci sono ancora annunci ufficiali, si può prevedere che Draghi riduca di un altro quarto di punto il tasso di cambio, giungendo allo 0,50. Il che sarebbe un bene, ma nello stesso tempo indicherebbe che saremmo praticamente giunti all’esaurimento dei margini di manovra a disposizione della Bce per quanto riguarda i tassi.
A questo punto, dice Prometeia, ci vorrebbe uno scatto di reni. Il nostro governo non dovrebbe rischiare di compromettere queste vaghissime tendenze a una riduzione della recessione; dovrebbe quindi evitare di essere coinvolto in nuovi contraccolpi derivanti dalle pessime condizioni della Grecia e da quelle non molto migliori del Portogallo; se anticipasse la richiesta di aiuti di Rajoy potrebbe impedire la corsa dei nostri capitali all’acquisto di titoli spagnoli. Ma soprattutto, e questo mi pare purtroppo il punto vero, si calmerebbero in anticipo le fibrillazioni della finanza legate alle elezioni politiche del 2013.
Ancora una volta, quindi, e proprio da parte di un istituto di ricerca che certamente si colloca nell’area del pensiero democratico, emerge una costante dei tempi nostri: la diffidenza, per non dire la manifesta incompatibilità, del moderno capitalismo finanziario verso ogni forma di esercizio della democrazia, come il più tradizionale di tutti, ovvero l’esercizio del voto per la elezione del parlamento repubblicano.
Non solo, ma il ragionamento degli autorevoli ricercatori dell’Istituto bolognese pare cadere in un’evidente contraddizione. Da un lato si vuole anticipare l’intervento salvatore data la fragilità della struttura economica del nostro paese, individuata giustamente nella bassa crescita potenziale, dall’altro si dice di non temere le famose condizionalità che la Bce imporrebbe, la firma del memorandum, perché in fondo l’Italia sarebbe già a posto per quanto riguarda i fondamentali che concernono il raggiungimento del pareggio di bilancio e il rispetto delle linee contenute nel fiscal compact.
A meno che non si pensi che la Bce si possa limitare a un buffetto sulla guancia, non si può sottovalutare l’impatto negativo sulla stessa possibilità di rilancio della crescita che avrebbe l’applicazione di ulteriori condizioni restrittive al nostro paese.
Vale la pena di ricordare che la Banca europea, quando ha voluto, è andata sul pesante e con pochi riguardi nei confronti del nostro paese. Basta citare qualche punto contenuto nella celeberrima lettera del 5 agosto 2011, firmata da Draghi e da Trichet, ove tra le altre cose si chiedeva “la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali … tramite privatizzazioni su larga scala”, oppure la riforma ulteriore della contrattazione nazionale a esclusivo vantaggio di quella aziendale e locale, per finire con la “riduzione dei costi del pubblico impiego” tramite il blocco del turn over e la diminuzione “se necessario, degli stipendi”. Per ricordare solo questioni che sono state al centro di grandi battaglie referendarie vincenti, ma ora contrastate nell’applicazione, o tuttora al centro di delicate trattative tra le parti sociali.
Sorge perciò legittimo un dubbio. Che l’invito alla anticipazione dell’intervento salvifico della Bce nasconda l’intenzione di condizionare l’esito delle stesse elezioni politiche. La firma di nuovi impegni limitativi degli spazi di politica economica prima delle elezioni politiche ne condizionerebbe l’esito fino a renderle pleonastiche. Qualunque fosse la coalizione elettorale che risultasse vincente, la politica economica, cioè l’aspetto principale dell’attività di un governo di fronte a una crisi di queste proporzioni, sarebbe stata già decisa. A quel punto il Monti bis – il cui nome, ma non la sua politica, è stato cancellato con un tratto di penna nella carta di intenti firmata dal Pd, dal Psi e da Sel – si riproporrebbe al di là della presenza fisica dell’ex rettore della Bocconi, che potrebbe tranquillamente godersi il seggio di senatore a vita, sapendo che vi sono altri a continuare la sua opera sporcandosi le mani in sua vece.
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