di Pierluigi Giordano Cardone
“Pezzo di merda, Morosini pezzo di merda”. Poi il ‘carico’, con saluti romani e slogan nazisti. Morale della favola? Un coro, qualche decina di imbecilli (di certo non aiutati dall’atteggiamento dell’allenatore della loro squadra del cuore), ma soprattutto un’occasione persa. Resta l’amaro in bocca dopo quanto accaduto ieri a Livorno, dove verso la fine del primo tempo del match clou di Serie B tra i padroni di casa e il Verona, una parte (da sottolineare: una parte) degli ultras veneti ha dimostrato tutta la propria bestialità inneggiando contro lo sfortunato centrocampista amaranto, morto in campo lo scorso 14 aprile a Pescara a causa di un arresto cardiaco.
Fin qui la cronaca della barbarie. Ma cosa è successo dopo? Praticamente nulla. O, meglio, ordinaria amministrazione. Gli agenti della Digos, infatti, sono andati sotto il settore che ospitava i supporters scaligeri, hanno filmato gli autori del coro (saluti romani compresi) e hanno informato gli ufficiali di campo e la Procura federale. E poi? Titoli sui giornali, scuse ufficiali della società veneta, indignazione generale. Tutto qui? Praticamente sì. Eppure si poteva e doveva fare di più.
Il daspo per quegli imbecilli che in nome di un’antica rivalità calcistica e politica (curva veneta di estrema destra, ultras toscani di estrema sinistra) hanno infangato il nome di Morosini è scontato, ma la gara – forse per timore di scontri – è proseguita come se nulla fosse. Un’occasione persa. Passo indietro. Era l’aprile di tre anni fa quando in uno Juve-Inter come al solito assai sentito, mezzo stadio bianconero intonò un coro che fece gelare il sangue: “Se saltelli muore Balotelli”. Polemica aspra. Moratti chiese perché la gara non fu interrotta, ma il presidente dell’Associazione italiana arbitri spiegò che non era possibile. E aveva ragione: la legge non lo permetteva. Perché in base all’articolo 62 del Noif (Norme organizzative interne Figc) il rappresentante dell’ordine pubblico poteva ordinare all’arbitro di sospendere la partita solo in presenza di striscioni o simboli inneggianti l’odio razziale. Non di cori, quindi.
Un vuoto normativo che tuttavia la Figc all’epoca ha provveduto subito a modificare, proprio per evitare il ripetersi di simili, vergognose situazioni. Secondo la nuova regola (comma 6), infatti, “il responsabile dell’ordine pubblico, designato dal Ministero dell’Interno, qualora rilevi, oltre a striscioni offensivi esposti dai tifosi, cori, grida e ogni altra manifestazione discriminatoria costituenti fatti gravi, può ordinare all’arbitro, anche per il tramite del quarto ufficiale di gara o dell’assistene, di non iniziare o sospendere la gara”. E ancora (commi successivi) : “La sospensione non può superare la durata di un tempo (45 minuti), da passare, per giocatori e arbitro, in mezzo al campo qualora non si debba entrare negli spogliatoi per un clima troppo arroventato. Se la situazione non migliora dopo il termine previsto, l’arbitro può dichiarare chiusa la partita, con gli organi di giustizia sportiva che poi adotteranno le sanzioni previste dall’articolo 17 del Codice di Giustizia Sportiva (sconfitta a tavolino)”.
Allora la Juve fu condannata a giocare la successiva gara casalinga a porte chiuse, ora che sanzione sarà applicata al Verona (che pure è innocente fino a prova contraria)? E soprattutto: perché ieri a Livorno la modifica della norma non è stata applicata e quindi il match non è stato sospeso? Chissà. Forse per timore che questo tipo di decisione potesse scatenare scontri tra le opposte tifoserie o tra tifosi e forze dell’ordine? Ma se così fosse, non si capirebbe il motivo di aver fatto disputare Livorno-Verona senza alcun tipo di limitazione per i supporters. Domenica prossima, tanto per fare un esempio, il derby campano di Prima Divisione di Lega Pro tra Paganese e Nocerina si giocherà a porte chiuse e addirittura in un’altra regione (non era mai successo prima) a causa dei precedenti di violenza (l’ultimo il 5 agosto) tra le due curve.
Detto questo, quindi, non si riesce proprio a comprendere il metodo utilizzato da chi deve garantire la sicurezza (fisica e a questo punto anche morale) di quei pochi coraggiosi che ancora frequentano gli stadi d’Italia. In attesa di vedere come si regoleranno giudice sportivo e Procura federale, qualcuno dovrebbe cercare (magari con la forza di una squalifica) di far comprendere all’allenatore del Verona Andrea Mandorlini come ci si comporta prima, durante e dopo determinate sfide ‘calde’.
Prima della gara, il nostro si è esibito in dichiarazioni del tipo “sono orgoglioso di essere un nemico giurato del Livorno” e “i livornesi? Sono antipatici”. Poi, per non farsi mancare nulla e visto che la curva amaranto lo stava beccando, il tecnico veneto ha pensato bene di festeggiare il secondo gol dei suoi rivolgendo il dito medio alla tribuna livornese. E bravo il mister. Che però si è sopravvalutato. Mandorlini, infatti, era convinto che il suo gesto passasse inosservato agli occhi della squadra arbitrale (e così è stato), ma non poteva minimamente pensare che il procuratore federale Palazzi avesse deciso di inviare a Livorno un suo 007 per vedere cosa succedeva. E l’ispettore, neanche a dirlo, ha visto tutto. Eccome se ha visto tutto: era seduto in tribuna…
L’allenatore, del resto, è anche recidivo: nel luglio 2011, prima e dopo la finale play off di Prima Divisione vinta contro la Salernitana, si era esibito con la sua squadra e la sua curva in cori offensivi contro i terroni di Salerno e i tutti i meridionali. All’epoca Mandorlini si giustificò sostenendo che la sua era solo una goliardata (disse di aver cantato “Italiano terrone ti amo” degli Skiantos) e venne ‘solo’ deferito. Questa volta, invece, o dimostra che il dito medio è un’esultanza tipica delle sue parti, o s’inventa di avere seri problemi di intolleranza ansiogena da colore granata, o amaranto oppure per lui sarà davvero difficile evitare una severa e sacrosanta squalifica. Al pari di quei ‘suoi’ tifosi che hanno offeso il ricordo di Morosini e per i quali Mandorlini non ha espresso neanche una parola di condanna.
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