di Roberta Fantozzi e Barbara Pettine
Monti e Fornero hanno gettato nella disperazione centinaia di migliaia di persone, che hanno visto, nel giro di poche settimane, la propria prospettiva di vita messa radicalmente in discussione, dopo anni ed anni di duro lavoro. La cosiddetta riforma delle pensioni del governo dei tecnici, che allunga di sei anni e più il tempo di lavoro, è stato il più violento provvedimento antipopolare, contro le condizioni di vita di uomini e donne, dal dopoguerra ad oggi. Una campagna lampo passata sulla testa della gente, offerta sull'altare del recupero di «credibilità» in Europa e nel mondo dalla neonata unità nazionale del «dopo la caduta di Berlusconi», senza che ci fosse neppure la consapevolezza del disastro sociale che questa sedicente riforma apparecchia.
Il disastro sociale per chi, espulso dai luoghi di lavoro, alla pensione non arriverà mai, tanto più dopo la drastica riduzione dei tempi di erogazione degli ammortizzatori sociali, cui ha provveduto l'altra «riforma» Monti-Fornero: un dramma di cui i lavoratori «esodati», secondo l'orrido neologismo, non rappresentano che la punta dell'iceberg. Uomini e donne che hanno di fronte come sola possibilità, quella di tentare un impossibile riciclaggio contendendo ai propri figli/e un posto precario.
Il disastro sociale per le ragazze e i ragazzi, privati non solo della pensione futura, ma del lavoro presente, giacché è palese come il permanere forzatamente sul lavoro dei più anziani, diventi una barriera insormontabile per le nuove generazioni, in un paese in cui la disoccupazione giovanile è ormai al 35 per cento e l'occupazione globale si restringe per le politiche recessive.
L'accanimento contro le donne, su cui continua a scaricarsi la doppia fatica del lavoro produttivo e riproduttivo, in un'organizzazione sociale in cui il perdurante sessismo si intreccia alle storiche carenze del nostro sistema di welfare, che certo non migliorerà per i tagli feroci prescritti dal pareggio di bilancio oggi, dal Fiscal Compact domani. Penalizzate nell'accesso al lavoro, nelle retribuzioni, nella precarietà dei contratti, nella maturazione dei requisiti per la pensione. Se un operaio potrà «sperare» di andare in pensione a 62 anni, dopo 42 anni e un mese di lavoro, l'operaia non riuscirà ad andare prima dei 67 perché la sua vita lavorativa, fra aspettative non retribuite, part time, periodi più lunghi di attesa per entrare nel lavoro stabile e rientrarvi dopo le gravidanze, non le permetterà di cumulare i 41 anni utili alla pensione cosiddetta anticipata ( oggi solo il 2% delle pensionate del settore privato ha più di 35 anni di versamenti).
La controriforma non è nata dai problemi di tenuta del nostro sistema pensionistico, la cui sostenibilità è stata attestata fino ed oltre il 2060 sia dagli organismi europei che dal nucleo di valutazione del ministero del Lavoro, e i cui saldi tra entrate contributive e uscite effettive al netto delle tasse, sono sempre stati in attivo dal 1998, attestandosi oggi intorno all'1,8% del Pil, come ci ricorda instancabilmente Roberto Pizzuti.
Le motivazioni sono state invece quelle di fare «cassa» nell'immediato e arrivare in prospettiva allo smantellamento del sistema pubblico a favore dei fondi privati: per dare nuova linfa ai processi di privatizzazione e speculazione finanziaria. La controriforma delle pensioni è il primo provvedimento «costituente» del governo Monti. Al pari della manomissione dell'articolo 18 e del via libera ai licenziamenti arbitrari, al pari dell'articolo 8 Sacconi-Berlusconi che svuota il contratto nazionale e cancella i diritti del lavoro, la controriforma delle pensioni ridisegna nel profondo i rapporti tra le classi, le relazioni sociali, persino le antropologie. Ed è emblematica della logica perversa dell'iperliberismo per cui la risposta alla crisi risiede nell'ipertrofia delle politiche che la crisi l'hanno causata: distruzione del welfare e incremento delle disuguaglianze di pari passo alla precarizzazione del lavoro e all' aumento vertiginoso dell'orario di lavoro settimanale, annuo e nell' arco dell'intera vita.
Per questo il referendum, per noi strettamente intrecciato a quelli sul lavoro. Crediamo sia ora che le persone si esprimano, che disperazione, rabbia, voglia di dignità e di rispetto per le proprie condizioni di vita, di lavoro e di reddito, si facciano sentire attraverso il protagonismo diretto dei soggetti. Contro chi ci ha sottratto il futuro, contro una riforma ingiusta e misogina che si accanisce contro i più deboli, la parola va restituita alle donne a agli uomini, che questo paese abitano, vivono e fanno progredire. Riprendiamoci il futuro. Abroghiamo la controriforma delle pensioni.
* comitato promotore del referendum abrogativo della riforma delle pensioni
il manifesto 25 ottobre 2012