di Domenico Moro

La Legge di stabilità ha iniziato il suo iter parlamentare da diversi giorni, sottoponendosi al vaglio della Commissione Bilancio.
Ancora non si è arrivati ad una riformulazione definitiva, sebbene si stiano delineando alcune modifiche nella trattativa che coinvolge il ministro dell’economia Grilli e i due relatori di maggioranza, Brunetta del Pdl e Baretta del Pd. 

I capisaldi originari della Legge di stabilità consistevano in un aumento dell ’Iva intermedia e massima, rispettivamente dal 10% all’11% e dal 21% al 22%, e in un abbassamento del tetto delle detrazioni Irpef a tremila euro e nell’innalza - mento della franchigia a 250 euro.

A compensazione, le famiglie avrebbero potuto beneficiare del taglio di un punto percentuale ciascuna alle aliquote Irpef, 23% e 27%, dei due scaglioni più bassi, fino a 15mila e fino a 28mila euro.
Inoltre, la Legge prevedeva altre misure, come l’aumento delle ore lavorative nella scuola e il blocco dei contratti e la riduzione del personale statale. Le imprese, invece, si sarebbero potute giovare di un contributo di 1,6 miliardi per il biennio 2013-2014 a finanziamento del salario di produttività. Il saldo di queste operazioni andava a sfavore dei redditi più bassi. Dopo il confronto con la Commissione bilancio e i due relatori, si conferma il netto peggioramento rispetto alla situazione pregressa al governo Monti, ma anche, sembrerebbe, rispetto alla stessa formulazione originaria della Legge di stabilità. Infatti, da una parte, è stato eliminato l’aumento della aliquota intermedia dell’Iva, ma è stato confermato quello dell’aliquota massima, che ha un impatto maggiore sulla pressione fiscale e sull’aumento dei prezzi, coinvolgendo i beni energetici. Dall’altra, è stata eliminata la riduzione del punto dell’aliquota Irpef per i due scaglioni più bassi. Il saldo è del tutto negativo, perché la riduzione Irpef vale 5,8 miliardi annui di risparmio per le famiglie mentre il mancato aumento dell ’aliquota Iva intermedia vale solo 2 miliardi.
Quindi, in effetti, le famiglie nello scambio, di cui Brunetta ha cercato di attribuirsi il “merito ”, ci perdono. Ad ogni modo, il saldo finale vedrà un aumento di 3-3,5 miliardi di aliquota massima Iva, che peserà maggiormente sulle famiglie a basso- medio reddito, essendo l’Iva una imposta regressiva. Per quanto riguarda i nuovi tetto e franchigia delle detrazioni, che valgono un maggiore gettito per 2,16 miliardi nel 2013, 1,37 nel 2014, e 1,36 nel 2015, in realtà non si sa ancora nulla di preciso. A quanto pare, potrebbe esserci una rimodulazione, che permetterebbe di detrarre le spese dei mutui e quelle mediche, ma è improbabile che si riesca a ristabilire la situazione precedente. Il problema è che le eventuali variazioni, a causa del fiscal compact, devono avvenire a saldo di bilancio e da qualche parte devono pesare. Il punto è su quale parte. Per questo è importante capire quale strada imboccheranno le ingenti risorse che non sono più impegnate ad alleggerire la pressione fiscale sui bassi redditi. Questa strada sembra essere la riduzione del cuneo fiscale. Il che pone la questione della suddivisione della sua riduzione tra lavoratori e imprese.
I precedenti non promettono nulla di buono, visto che a beneficiarne sono state sempre o quasi le imprese, soprattutto con la riduzione dell ’Irap. Anche stavolta, come prospettato ieri da Grilli, l’idea è quella di aggiungere dal 2014 un nuovo taglio dell’Irap agli 1,6 miliardi di tagli fiscali al salario di produttività, che sono stati confermati. Sebbene presentata come stimolo alla crescita, la riduzione del cuneo fiscale, secondo l’Istat, avrà effetti poco significativi sulla crescita del Pil. Effetti significativi, però, ci saranno sui profitti della grandi imprese. C’è incertezza anche sull’aumento delle ore di lavoro dei professori, motivate da tagli all’istruzione di 157 milioni di euro nel 2013, 172 nel 2014 e 236,7 nel 2015. Il ministro dell ’Istruzione Profumo ha detto ieri che, per ora, non si farà e il suo ministero, a sostegno di un emendamento abrogativo della Commissione Bilancio, ha individuato risorse alternative: 74,6 milioni nel primo anno e 50,6 nei due successivi. Però, il sottosegretario all ’economia Polillo ha constatato che «sussiste una evidente divergenza tra gli obiettivi di riduzione di risorse previste dalla legge e la proposta del ministero», senza peraltro prendere in esame altre fonti di risorse aggiuntive. La Commissione, per parte sua, ha avvertito che avrebbe potuto legittimamente eliminare la questione dai contenuti della Legge di stabilità e che si sta ricadendo nel metodo, apparentemente rifiutato dal governo, dei tagli lineari.
Nessuno, però, ha proposto di prendere la differenza dai fondi stanziati dal governo per le scuole private, che ammontano a 223 milioni per il solo 2013. L’aumento dell ’orario di insegnamento determina, oltre ad uno scadimento della qualità dell’istruzione, anche una riduzione delle future nuove assunzioni, senza contare che, per ammorbidire l’effetto della spending review su altri settori statali, il ministero dell’Istruzione ha rinunciato a colmare gli organici scoperti. Ciononostante, sono pronti i decreti relativi ad una riduzione di organico nella Pa di 6mila unità, da gestire con prepensionamenti, part-time e trasferimenti volontari, ma anche con licenziamenti diretti, come sembra dovrebbe accadere per 259 lavoratori dell’Inail.

 

Pubblico 11 novembre 2012

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