di Sara Nicoli
Il Cavaliere è tornato ad essere l’uomo nero della democrazia italiana. E i sondaggi sono lì a dimostrarlo. Il 73% degli elettori del centrodestra, secondo l’Swg, vorrebbe averlo fuori dai piedi. Così come il mondo intero, partendo dall’Europa e dalla signora Merkel, pronti a mettere in campo la vecchia teoria del biasimo che esplose nel vertice di Cannes del 2011 e a cui seguirono tattiche di isolamento dell’Italia e di irrisione del governo. Con lo spread che non conosceva sosta nella corsa verso l’alto.
Ma lui non se ne cura. Da Berlusconi, dopo la “pausa” Monti, lo stesso “mondo intero” dei mercati e della politica, si sarebbe atteso che istruisse una successione ordinata e credibile della classe dirigente del suo partito, favorendo la legittimazione della nuova nomenclatura – anche per rinnovare il consenso – e contribuendo anche alla riscrittura della legge elettorale che portasse oltre Monti, ma in una logica costruttiva. Niente. Il Cavaliere tutto questo non lo sa fare. Volendo, potrebbe anche, ma non è nella sua logica, nel suo pensiero, nel suo agire. Per lui esiste solo una strategia di guerra. E anche adesso la sta costruendo a tavolino. Con un obiettivo preciso. Conquistare una fetta di scranni al Senato che lo rendano ancora indispensabile per formare una nuova maggioranza. Insomma, non vuole che si possa fare senza di lui nel nuovo governo e il perché è facilmente intuibile.
Ma come raggiungere un obiettivo che sembra oggi, almeno sulla carta, quasi impossibile visti i sondaggi? L’hanno chiamato “il gioco delle soglie”, ma è tutto fuorché un gioco. Si tratta di quel complicato meccanismo che consente ad un partito, attraverso l’attuale legge elettorale (il Porcellum) di vincere in alcune regioni “chiave” diventando, in questo modo, dirimente nella formazione della maggioranza a Palazzo Madama. E’ un “gioco” che il Cavaliere ha studiato a fondo nelle ultime settimane, in mano i sondaggi freschi di Alessandra Ghisleri. L’attenzione è puntata sul peso reale dei centristi di Casini nelle urne, con o senza Montezemolo. Statistiche tutt’altro che lusinghiere per il leader dell’Udc, che avrebbero convinto Berlusconi della bontà della sua nuova presenza in campo.
L’obiettivo, si diceva, è mirato: diventare fondamentale al Senato per la formazione della maggioranza. Un potere enorme nella prossima legislatura. Che il politologo Roberto D’Alimonte disegna come possibile. “Berlusconi sa che la partita della Camera è persa – spiega – perché lì per vincere occorre arrivare a “quota 35”, ovvero avere almeno il 35% dei voti che oggi avrebbero in tasca solo il Pd e Sel insieme. Al Senato, però, non c’è un unico premio nazionale, ma 17 premi regionali. Se Pd e Sel li vincono tutti la maggioranza assoluta è garantita”. Già, ma se Piemonte, Lombardia, Veneto e Sicilia finissero in mano al Cavaliere? “Se Berlusconi riuscirà a vincere in due o tre di queste regioni – dice D’Alimonte – l’esito potrebbe essere quello del 2006 e non quello del 2008. Nel 2006 Prodi ottenne una maggioranza di un seggio al Senato. Nel 2008 Berlusconi pescò il biglietto vincente della lotteria grazie a un notevole vantaggio di voti sulla coalizione di Veltroni”.
Insomma, la strategia tiene. E il calo dei centristi aiuta. I sondaggi testimoniano una forte flessione della galassia centrista filomontiana (di lì la voglia del Cavaliere di giocare la campagna elettorale in chiave anti governativa); la stanchezza generale per le politiche rigoriste si sarebbe riverberata sui partiti che hanno sempre sostenuto il professore. Secondo i sondaggisti berlusconiani, si starebbe quindi per aprire al centrodestra una prateria da cavalcare a spada tratta all’insegna della resurrezione del riformismo liberale delle origini, una battaglia al rigorismo recessivo di Monti e alla minaccia della sinistra che vuole la patrimoniale. “Non capite che stanno per implodere?” avrebbe tuonato Berlusconi con i suoi, a cui avrebbe mostrato le carte, spiegando come al momento si stia aprendo uno spazio politico inaspettato fino a qualche giorno fa, che potrebbe riportare il Pdl – o quello che diventerà – a rappresentare l’unica alternativa disponibile tanto al centrosinistra, quanto al centro.
“Il Monti bis non ha sfondato e questi continuano a restare legati alle politiche dell’Europa, non capiscono che la gente è stanca dei sacrifici fatti in nome della responsabilità – ecco sempre il ragionamento del Cav – presto si renderanno conto di non sostenere più nessuno, perché Monti si sfilerà per andare al Quirinale e sarà troppo tardi per trovare un accordo vantaggioso col Pd”. Un programma che – ne è convinto lo stato maggiore del partito – potrebbe portare la futura Casa delle libertà a percentuali oggi assolutamente insperate: il 26 e il 30% dei consensi. Questa la quota fissata per la riuscita dell’operazione.
Possibile? Per Nicola Piepoli, una campagna fatta su queste basi ci sta tutta. Anche perché, per il Pdl, è estremamente pagante. Sondaggi dell’ultim’ora del suo istituto danno il Pd al 34%, il Pdl a pari merito con l’M5S al 16% (il che, ovviamente, presuppone una potente risalita nelle prossime settimane,se la strategia dovesse funzionare) ma soprattutto l’Udc all’8% in discesa. Più severo l’Swg, che dà il Pd al 30% e il Pdl al minimo storico del 13,8% con il 73% dell’elettorato che – come si diceva all’inizio – non vorrebbe il ritorno del Cavaliere in campo, dato che non sembra affatto spaventare il diretto interessato. Ma oramai lui guarda al Senato come sua vera terra di conquista. Per contare – a questo punto – sempre di più. E, soprattutto, più di Monti. Che non gode più della fiducia entusiastica degli italiani. Il suo gradimento risulta in calo di 3 punti in una sola settimana, toccando il minimo storico del 33% da quando è in carica. Tutta musica per le orecchie del Cavaliere.
Adesso, dunque, si tratta di verniciare di fresco il Pdl, senza decretarne la fine. In questa veste, anche i vecchi big potrebbero restare a bordo, compresi gli ex An, quelli che ovviamente vorranno. Una tregua con la nomenclatura è necessaria e tutti sono utili per il progetto di rilancio del centrodestra e la conquista del voto centrista. E se non dovesse funzionare? L’ago della bilancia, allora, lo farà qualcun altro, Grillo per esempio. Ma a palazzo Grazioli questo non lo vogliono sentire neppure per scherzo.
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