di Angelo D'Orsi
Dopo il 12 novembre, il 5 aprile sarà ricordato come una data capitale della cosiddetta Seconda Repubblica, mentre già si vaticina, da mesi, di una fantomatica Terza.
Dunque, nell’arco di sei mesi, circa, da novembre 2011, ad aprile 2012, abbiamo visto cadere come birilli le due “B” della politica contemporanea italiana, i due principali responsabili del dissesto economico, della frana istituzionale, della catastrofe morale del Paese.
Se l’uscita di scena di Berlusconi provocò in milioni di italiani, a cominciare dal sottoscritto, gioia irrefrenabile, aprendo anche la porta alla speranza di un vero cambiamento politico, il rovinoso capitombolo di Umberto Bossi suscita, accanto a pena e rabbia, solo sarcasmo per questo Masaniello in sessantaquattresimo che alla fine non ha fatto che sistemare la famiglia. Che pena, davvero.
Ma pena maggiore suscita il gran parco dei “commentatori” della stampa e della radiotelevisione, e della rete, che hanno insistito per questi due decenni e oltre alle nostre spalle che Bossi era l’espressione del weberiano “leader carismatico”, che era un vero e proprio “animale politico”: avevo già contestato su questo spazio tali complimenti, e ora non posso che confermare. Finito il politico resta l’animale, un animale sofferente, ma non a sufficienza, evidentemente, per smettere di insultare, vociare, minacciare con il suo dito medio, ormai solo grottesco, e il suo pugno alzato (l’abbiamo visto alle prese con il giornalista che gli chiedeva conto del denaro sottratto), che suscita più la voglia di rispondere con pernacchie e sghignazzi, che l’indignazione e il bisogno di rivalsa.
Sento i commenti: beh, dopo il colpo di cui era stato vittima – un ictus che, vox populi vuole l’avesse fulminato nel bel mezzo di una noche de fuego – “non era più lo stesso”. Ma come? L’incidente risale al 2004, e per dodici anni abbiamo continuato ad ascoltare e leggere elogi dell’uomo e del suo fiuto politico, e ora, dopo la caduta, mi venite a raccontare che non stava tanto bene? Il che vuol dire che se fosse stato in piena forma, oltre a figli, mogli, amanti, congiunti, contigui e famigli vari, avrebbe dato prebende, denaro, consulenze, presidenze, onorificenze, eccellenze, quiescenze (anticipate), a quanti altri? Dov’è il carisma politico? Costui è sempre stato un cialtrone, con uno spiccato gusto per la volgarità (spontanea in lui) e una fascinazione perla violenza, un personaggio da osteria che tra i fumi dell’alcol amava giocare a chi le sparava più grosse: e così, nella colpevole indifferenza di tanti e nella acquiescente benevolenza di troppi, giunse con i suoi amici alle camicie verdi, alla secessione magari con i fucili della Val Brembana, o a compiere gesti eclatanti in sede parlamentare, dai volantini contro “Roma ladrona” agli striscioni inneggianti alla cosiddetta Padania.
Fino ad arrivare alla famosa esibizione del cappio: ora siamo alla nemesi storica. Chi invocava la pena di morte ora dovrebbe essere abbastanza inquieto per gli svolgimenti della telenovela affaristica – una delle più squallide di questa nostra Italia, che pure ci ha abituato a vederne di ogni colore –, che rischia di trascinare nel gorgo, insieme con Bossi e familiari, la stessa Lega Nord. Se quel movimento era, come incautamente ebbe a sentenziare Massimo D’Alema, una “costola della sinistra”, ebbene, con quella sinistra io personalmente non voglio avere nulla a che spartire.
Se non è destra, la destra peggiore che si possa immaginare, il movimento bossiano, allora dove la cerchiamo la destra? Anche se l’etichetta appare, in fondo, inadeguata; va arricchita di aggettivi. Una destra ignobile, letteralmente, priva, cioè, di qualsiasi nobiltà, una destra razzista, ignorante, becera, volgare. Rispetto a Bossi, Mussolini, il rozzo figlio del fabbro di Predappio, era quasi simile a quei gentlemen inglesi che detestava. Davanti a Calderoli, Roberto Farinacci, il feroce ras di Cremona, ci fa un figurone: era addirittura avvocato! (anche se con sospetta laurea). E, al cospetto di Borghezio, persino Starace risulta (quasi) simpatico. Ma attenzione: tutti costoro finirono a Piazzale Loreto: perché la storia ha le sue svolte, i momenti di rottura imprevedibili e imprevisti, e la folla che ti applaude è pronta a sputare sul tuo cadavere. Il carisma, o sedicente tale, si rivela una gabbia, che ti imprigiona in un ruolo (il capo che ha sempre ragione, che si rivela un semplice manigoldo che si fa cogliere con le mani nel sacco), in un gesto (il braccio ad ombrello, che poi per un accidente del destino non si è più in grado neppure di sollevare), in uno slogan (Roma ladrona, comodamente assisi sugli scranni parlamentari, oltre che in quelli territoriali, nei quali abbiamo inserito il povero figlio malcresciuto, la cui maturità scolastica abbiamo dovuto pagare noi contribuenti, con tutti gli addetti)…
E come dimenticare le pagliacciate celtiche? Le invenzioni padane? I riti sul Po? Le finte istituzioni, dal “Parlamento padano” ai “Ministeri al Nord”? E la costante campagna denigratoria contro l’Italia, rispetto alla quale lorsignori (!) non hanno smesso di proclamarsi diversi ed estranei. Sarebbe necessario ora che i commentatori, pronti a dimenticare le stupidaggini colpevoli sentenziate fino a ieri l’altro, facessero un sano esercizio di memoria, ripercorrendo le innumerevoli tragiche farse di Bossi & Co.
Ho chiesto a suo tempo una iniziativa pubblica per dichiarare fuori legge un partito che non riconosce l’Unità nazionale, che invita a disobbedire alle leggi dello Stato, che minaccia la secessione armata. Perché la magistratura zelantissima con gli “anarco-insurrezionalisti” (?, persone che chiedono semplicemente verità e giustizia),o semplicemente con il movimento No Tav, che sta difendendo un interesse pubblico, ha taciuto con gli energumeni in camicia verde?
Come dimenticare la vergogna di Adro, la scuola “padana”, i proclami contro gli insegnanti meridionali, l’ostracismo ai bambini figli di stranieri (magari viventi tra noi da decenni, e paganti le tasse, cosa che i leghisti padanissimi cercano regolarmente di evitare)? Come, soprattutto, obliterare la violenza scellerata, praticata e predicata, contro le torme di disperati che si spingevano rischiando la pelle, verso le nostre coste? Ma li ricordiamo gli inviti a sparare contro quei barconi? E, en passant, vorrei sottolineare che il responsabile primo di quella politica vigliacca è il signor Roberto Maroni, tanto apprezzato anche fuori del suo partito, e ora insignito del titolo di triumviro che dovrebbe “traghettare” la Lega verso il congresso. Ossia salvare il salvabile, a cominciare magari da se stesso. Dopo i quadrumviri della Marcia su Roma, abbiamo i triumviri della marcia su Gemonio. Che pena, sì.
Berlusconi l’abbiamo salutato stappando lo spumante, e correndo in piazza a festeggiare. Bossi, ahilui, non merita neppure il Tavernello.