Di Stefano Galieni
Lo scorso anno a Nardò in provincia di Lecce, prese vita, grazie all’impegno di lavoratori migranti, delle Brigate di Solidarietà Attiva e di associazioni come Finis Terrae, una lotta contro lo sfruttamento del lavoro nei campi che portò a scioperi contro i padroni e contro i “caporali” che sottraevano una parte del già infimo salario. Uno dei leader di questa lotta che ha segnato un salto in avanti nella presa di coscienza è Yvan Sagnet,
studente camerunense costretto d’estate a guadagnarsi da vivere per pagarsi gli studi con un lavoro duro e massacrante. Yvan Sagnet, ha aderito alla manifestazione del 12 maggio portando la propria voce di lotta nella specificità del lavoro migrante.
«Una parte consistente delle riforme del mercato del lavoro ricadrà soprattutto sui migranti, dalle modifiche dei vaucher all’articolo 18. Noi siamo i soggetti più deboli e ricattabili, se perdiamo il lavoro perdiamo tutto, non abbiano né diritti né cittadinanza e ci ritroveremo in grande difficoltà. Io temo che anche quel poco che ora abbiamo ci verrà tolto in nome della crisi».
Il governo si era impegnato a rivedere almeno la vergogna dell’aumento del costo del contratto di soggiorno e ad allungare i tempi di attesa occupazione che oggi sono di soli sei mesi, trascorsi i quali senza lavoro regolare si diventa espellibili.
«Hanno creato aspettative ma non faranno nulla. Dicono che si tratta di provvedimenti presi a suo tempo dal governo di centro destra e utilizzano questo come alibi. Per loro è comodo non affrontare questi problemi tanto noi non abbiamo alcun potere, non abbiamo diritto di voto, non abbiamo nessuna arma per combattere questi sistema così complesso e ci vorrebbero marginalizzati».
La sola arma è la lotta
«Si serve la lotta per i diritti. Inutile aspettarsi qualcosa dalle istituzioni. Quest’estate sarà molto importante essere nei campi dove i rapporti di forza si confrontano direttamente. Ci saranno i datori di lavoro da una parte e i lavoratori dall’altra, non c’è spazio per intermediari. Abbiamo imparato che quando si aprono tavoli iniziano le promesse, ci si comincia a scaricare le responsabilità fra istituzioni, ognuno verso l’altro: sindaco, prefetto, governo eccetera. Occorre rimettere in campo lo sciopero e il mio non è estremismo perché avverto la rabbia di tanti miei compagni. Dobbiamo anche bloccare la produzione delle aziende in maniera tale che cominceranno a porsi delle domande, vedranno i prodotti marcire nei campi e dovranno contrattare per ottenere qualche risultato».
Cosa intendi dire a coloro che saranno in piazza il 12 maggio
«Io voglio parlare a tutti i lavoratori, a tutti i soggetti, migranti e italiani. Viviamo negli stessi territori, abbiamo gli stessi obiettivi, dobbiamo avere gli tessi diritti. Per risolvere i problemi occorre l’unità dei lavoratori, l’unità di italiani e stranieri. Ci vogliono divisi utilizzando il fatto che chi è straniero viene pagato meno e diventa concorrente ma lo scontro non è fra noi, il nemico è l’azienda che impone questi stipendi. Se continuiamo ad essere divisi il sistema vince e noi soffriamo di più».
Non solo le singole aziende ma l’intera gestione delle politiche nazionali ed europee
«Certo le politiche europee, le banche e le altre istituzioni che soddisfano solo una minoranza di ricchi creando solo disagio e tensione. Io credo che occorra una lotta comune di tutto il popolo per passare ad un altro modello di sviluppo che non può essere come quello capitalista. Credo che si debba parlare di lotta di classe».