Di Michelangelo Cocco
Quello di oggi in Grecia può sembrare un voto meno importante rispetto alle contemporanee presidenziali francesi dalle quali a sinistra - in caso di vittoria di Hollande - ci si attende una svolta contro le politiche di «austerità» della cancelliera tedesca Merkel. In realtà la posta in palio ad Atene è altissima.
Anzitutto, se i risultati confermeranno i sondaggi, dalle urne verrà fuori un governo (coalizione PASOK-Nuova democrazia o esecutivo di tecnocrati) fragilissimo, accerchiato a sinistra e a destra da una forte minoranza anti-«austerità» e in parte anti-Ue. L'instabilità politica a quel punto potrebbe davvero contribuire alla bancarotta, per la prima volta nella storia, di un paese dell'Unione europea. È lo spauracchio agitato dal premier Papademos per convincere gli indecisi a votare ancora per i partiti dell'«austerità», ma è anche una possibilità concreta.
Poi c'è la partita che si gioca a sinistra del «socialista» PASOK. La frammentata e rissosa sinistra greca è da oltre due anni mobilitata in maniera massiccia e permanente contro la macelleria sociale a cui il governo dell'Unione europea, i mercati e gli esecutivi di Atene hanno condannato la classe media, i poveri e i migranti in cambio di due mega prestiti internazionali per salvare le banche elleniche ed europee.
La Sinistra democratica di Kouvelis (nata due anni fa da una scissione di Synaspismos e ingrossata dall'arrivo di alcuni deputati espulsi dal PASOK) è contro l'austerità ma nettamente pro euro e - scommettono in molti - pronta a soccorrere un'eventuale, traballante coalizione PASOK-ND.
Il KKE, il Partito comunista greco, negli ultimi due anni ha messo in campo tutta la sua organizzazione, mobilitando il sindacato Pame, i suoi giovani, i suoi media. Punta a guadagnare consensi lentamente, con l'indebolimento del quadro politico tradizionale in una crisi che prevede lunghissima. Se però, dopo lo sforzo profuso finora, non supererà il 10.9% ottenuto alle ultime municipali, il suo rifiuto di dialogare con le altre forze di sinistra, gli slogan sovietici e forse la sua stessa strategia (uscire dall'Ue) potrebbero essere messi in discussione.
La coalizione di sinistra Syriza ha lavorato tantissimo ma non ha una strategia chiara. Inutile nasconderselo: dalla scissione del Partito comunista (il Synaspismos, partito più importante all'interno di Syriza, ha consumato la sua definitiva rottura col KKE dopo la caduta dell'Urss), le divisioni tra KKE e Syriza sono strategiche. Syriza tiene assieme una sinistra plurale nella quale convivono un'anima europeista (maggioritaria) e una anti-euro; fautori del partito forte e movimentisti tout court. Alle ultime elezioni locali ha ottenuto il 5%. Oggi spera di andare molto più in là, oltre il 10%, in virtù del ruolo svolto all'interno del variegato movimento che ha portato in piazza contro l'«austerità» milioni di greci e grazie anche alla candidatura di Manolis Glezos, l'ottantanovenne eroe della resistenza contro il nazifascismo.
La sinistra italiana negli ultimi mesi ha guardato più a Monti che ai segnali, di lotta e disperazione, che arrivavano da Atene. Il presidente del Consiglio, che all'inizio ripeteva: «Non siamo la Grecia», recentemente ha dichiarato: «Rischiamo di fare la fine della Grecia». Una faccia una razza?
Viva la frammentata, rissosa sinistra greca.