di Marco Sferini

Uno dei pregi del digitale terrestre è certamente la presenza di canali come Rai News che ti consentono di seguire in diretta (e anche in differita) eventi nella loro completezza che altrimenti passerebbero solo di striscio nelle tv cosiddette “generaliste” o, al massimo, avrebbero un buon servizio giornalistico e qualche battuta di approfondimento nei programmi di attualità che in questi giorni riprendono la loro marcia sul teleschermo.
Per questo l’altra sera, invece di guardare Avatar (sarebbe stata comunque una ri-visione personale), zigzagando tra i canali ho preferito ascoltare tutto il comizio di Pierluigi Bersani alla Festa democratica a Reggio Emilia.


Non tolgo assolutamente nulla all’abilità oratoria del segretario del PD; ne voglio solo discutere alcuni passaggi nel merito.
Potrebbe essere definito il discorso dell’ “ambivalenza”, ma questo valeva già per Veltroni e quindi sarebbe poco originale come definizione. Allora lo potrei chiamare il discorso della “proclamazione di intenti”. Mi sembra un epiteto più consono: i toni proclamatori c’erano tutti quanti e, in quanto agli intenti, anche quelli. Perché è di questo che stiamo parlando: di intenti e non spingo l’asticella più in basso nel dire che sono finzioni, dico che la parola “intento” riunisce bene l’ambiguità di fondo che c’è tra una finzione apertamente tale e una verità che quelle parole, alzando l’asticella…, potessero essere veramente parte di un programma del PD per il prossimo futuro.
Sostiene Bersani: “Oggi leali con Monti. Domani toccherà non ai banchieri ma agli italiani decidere chi deve governare. E il PD è pronto a farlo“. Sulla vocazione governista del PD nessun dubbio. Dovrebbe essere una vocazione propria di ogni partito: la gestione del potere, la sua amministrazione secondo gli interessi che si vogliono tutelare. E qui vengono le note dolenti: quali interessi intende tutelare il PD nella prossima legislatura se, in questo scorcio di era montiana, sta praticamente facendo da esecutore testamentario della Banca Centrale Europea sotto la tutela del Presidente della Repubblica, benedicente, e con la trasversalità numerica che va dai banchi di sinistra fino a quelli di destra dell’Emiciclo?
Guardate, non è una domanda da poco se si considera che è oggettivamente impossibile venire a raccontare che la riforma Fornero sul lavoro tutela i lavoratori stessi… Si può fare come il professor Pietro Ichino e bizantinizzare le parole, renderle equivoche nella chiarezza, diradarne il senso, ma gli effetti della riforma sono evidenti. Si cancellano articoli 18, si premiano con le solite defiscalizzazioni imprenditori che non assumeranno nessuno, che non trasformeranno in ricchezza sociale quel che lo Stato gli dà in forma di cancellazione di oneri.
E allora, se hanno ragione i sindacati e i lavoratori nel dire che questa partita del e sul lavoro è una partita peggio che truccata, una partita giocata a senso unico, con una sola rete violata da interventi fallosi mai puniti da nessun cartellino, se è vero che il lavoro precario non viene arginato ma incentivato con una destrutturazione del contratto nazionale collettivo, se tutto questo è vero come è vero, allora qualcuno per favore non dica a me, ma dica al PD, lo dica a Bersani cosa ci sarà mai di “progressista” in tutto questo.
Il segretario democratico ha citato molte volte  la parola “progressisti”, attribuendola al suo partito.
Ma “progressisti” vuol dire sinistra, vuol dire valore-lavoro nel senso politico più alto del termine. Come può il Partito democratico pretendere di tutelare il lavoro quando lo combatte con il sostegno al governo Monti?
Non sono provocazioni questi, sono schiaffi ad un partito che dice di aver vinto la scommessa della sua vita, dell’esistenza, ma che non sa dirsi liberale.
Certo che è democratico. Anche Barack Obama lo è, ed è certamente migliore come candidato di Mitt Romney. Ma possiamo sempre e solo uniformare la politica alla seduzione pericolosa e adescatrice del “meno peggio”?
Possiamo piegare sempre la schiena sotto questa maledetta forca caudina di scelta ad un bivio di chi ci è meno lontano invece di chi ci è più vicino?
Per vent’anni ho vissuto con questo spettro. Per vent’anni mi sono detto: “Votiamo il meno peggio”, quando dovevo scegliere qualcosa che non fosse il mio partito, Rifondazione Comunista.
E per vent’anni il liberismo è avanzato e si è fatto beffe degli accordismi e delle strategie che mettevamo in campo per mantenere la nostra sacrosanta distinzione di comunisti dal resto della canea partitica, movimentistica ed elettorale.
Ma se questo percorso alla fine non ci ha portato a determinare rapporti di forza che ci consentissero una avanzata, un progresso appunto, è altrettanto vero che avevamo vicino a noi posizioni ultrasettarie, minoritariste e votate al martirio perenne di qualche parolaio investito della verità sacrificale o sacrilega da un gruppuscolo di massimalisti del caso.
Siamo dunque vissuti così. E oggi Bersani ci dice dalle piazze e dalle televisioni che domani non saranno i banchieri a determinare la rete di gestione del governo ma i cittadini italiani.
Suona come una beffa. Una atroce e sordida beffa. Oggi più di ieri, il meccanismo della delega elettorale non consentirà a nessuno di governare nella propria autonoma buona fede (ammesso che ne sia rimasta in giro…), ma farà in modo che a dirigere la macchina delle votazioni siano quegli stessi signoroni che oggi litigano sulle tempistiche dettate dalla BCE e non su quale diritto del lavoro tutelare, su quali garanzie ripristinare.
La parte più noiosa del discorso bersaniano è quella delle liti interne-esterne al PD per le primarie. Viene voglia di cambiare canale, ma c’è anche la tentazione di ascoltare la battuta successiva. Vuoi mai che passi ad altro argomento.
E così è: “Noi consideriamo la credibilità e il rigore che Monti ha mostrato davanti al mondo un punto di non ritorno. Ma vogliamo metterci dentro più lavoro, più uguaglianza, più diritti“. Parole violentate: uguaglianza, diritti dovrebbero fare il paio con la credibilità non certo del lavoro di un operaio, ma dell’anfitrionesca visione dell’impresa italiana all’estero! E poi, ancora, uguaglianza e diritti devono piegarsi al rigore: Monti è bravissimo nel mettere in pratica questa espressione del segretario democratico.
Rigore per i più deboli e uguaglianza inesistente. I dati dell’Istat parlano di milioni e milioni di nuovi disoccupati, di una povertà che verticalizza paurosamente. Che Italia è quella del PD, quella di Bersani? E’ il Paese di Utopia questo che viene raccontato a Reggio Emilia, non la società comunista, non la fine del mercato. E’ pretendere che questo sistema delle merci tuteli il lavoro che gli è mezzo per produrre ricchezza per pochi e non per chi direttamente la produce.
Perché è davvero più difficile coniugare diritti sociali e profitto privato che realizzare una società dove la proprietà privata dei mezzi di produzione è abolita.
Forse sarebbe stato meglio che avessi rivisto Avatar… Mi sarei evitato, come dice un mio amico, del “sangue marcio” e mi sarei evitato anche queste riflessioni. Vuoi mettere Pandora con la Terra… Almeno là c’è un marine che si ribella…

 

lanternerosse.it

 

 

 

 

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