di Emiliano Liuzzi

Potrebbe essere il giorno in cui quel “problema di democrazia” all’interno del Movimento 5 stelle si risolve. O si risolve o manda in frantumi buona parte del lavoro fatto fino a oggi. E potrebbe essere il giorno in cui Gianroberto Casaleggio, l’uomo ombra del Movimento, l’eminenza grigia con poteri che in pochi conoscono, ma in grado di prendere decisioni vitali, esca allo scoperto, lasci per un attimo il fortino della Casaleggio Associati e dica, “vabbè, sì, sono io che ho preso alcune decisioni, le rivendico e difendo”.

Casaleggio al telefono, contattato dal fattoquotidiano.it, non risponde. Neppure a un sms. Il sito rimane a sua disposizione per un intervento sulla questione. 

Per capire meglio di cosa stiamo parlando bisogna fare un nome, Valentino Tavolazzi, il consigliere comunale di Ferrara espulso dal Movimento 5 stelle per una riunione a Rimini, durante la quale si parlava di democrazia interna, bollata da Grillo e Casaleggio come “roba da vecchia partitocrazia”. Risultato: Tavolazzi viene cacciato, arrivederci e grazie.

Ma Tavolazzi non è per gli attivisti del Movimento 5 stelle in Emilia Romagna uno dei tanti, uno qualsiasi. È l’uomo di cui tutti si fidano e a lui devono molto. È anche uno degli uomini di cui lo stesso Grillo si fida di più, perché Tavolazzi, oltre a essere stato un manager, ha anche lavorato nella pubblica amministrazione da tecnico, direttore generale del comune di Ferrara, da dove venne licenziato nel 2002 in tronco, forse perché faceva fin troppo bene il tecnico.

Succede così che, con le buone, tutti, nessuno escluso, chiedono a Grillo di ripensarci. Ma dietro quell’epurazione non c’è solo Grillo, ma anche Casaleggio, e convincere Beppe può anche non bastare. Così come è accaduto. Per mesi la questione Tavolazzi ha sonnecchiato sui giornali. Anche la stampa nemica del “grillismo”, quella che girava attorno al fortino di Genova come fanno i lupi intorno alla carogna, non si era accorta che il pretesto era lì, sotto il loro naso.

Ma nel Movimento 5 stelle il tatticismo non è di casa. Non è un tattico Grillo, non lo sono neppure i militanti che nel Grillo pensiero credono. Così accade che questa mattina la questione Tavolazzi si ripresenta come un problema. Ma non sono i detrattori di Grillo a farlo, ma Grillo stesso che scrive un post e dice: “Propongono a Parma, con l’appoggio di un consigliere regionale (leggi Giovanni Favia ndr), Tavolazzi come direttore generale. Ma Tavolazzi è incompatibile con noi” è il senso.

I problemi nascono ieri, dunque. Quando Federico Pizzarotti chiama non Grillo, ma Casaleggio. E gli comunica di aver scelto il direttore generale per il Comune di Parma: si chiama Valentino Tavolazzi. Casaleggio solo a sentirlo nominare sobbalza sulla sedia. La telefonata è gelida, a dir poco. Ma Pizzarotti è deciso, Casaleggio altrettanto deciso a dire no. Pizzarotti è forte di un mandato che gli ha dato la sua squadra e il suo ragionamento, riportato da chi ha assistito alla telefonata, suona più o meno così: se non siamo come gli altri partiti, sono io che scelgo. E Tavolazzi è l’uomo che ha le competenze. Io ho bisogno di un direttore generale che sia bravo, certo. E Tavolazzi lo è. Ma devo anche fidarmi e di lui mi fido.

Così finisce la comunicazione. Casaleggio non si ferma, chiama uno dei suoi a Parma, poi un altro a Bologna. E dietro ci vede una manovra diretta e orchestrata da Giovanni Favia, consigliere regionale, che non è per nulla amato da Casaleggio. Così stamani esce il posto di Grillo, o chi per lui. Nel mirino Tavolazzi, ma anche quel consigliere che ha portato avanti la pratica Tavolazzi, secondo Casaleggio, e che si chiama Favia, appunto.

Tutti smentiscono, nessuno conferma. Ma la partita è iniziata, e non c’è arbitro che possa sospenderla. Ne uscirà un vincitore. Che si chiami Pizzarotti, Favia, Tavolazzi o Casaleggio. “Se la questione invece verrà risolta a tavolino ne guadagnerà il Movimento”, dice uno degli eletti a Parma che prega di non essere citato. “Ne guadagnerebbe tutto il Movimento. Se ci sarà uno scontro, tutti saremmo costretti a leccarci le ferite”.

 

il fatto quotidiano 25 maggio 2012

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