di Marco Sferini

Facciamo la scoperta dell’acqua calda: qualcosa non va nel governo. Anzi, forse è lo stesso governo che proprio non va. Perché quando un ministro del lavoro, che quindi dovrebbe gestire questo settore da un punto di vista pubblico, ed esclusivamente pubblico, anela a licenziamenti sempre più facili, semplici e diretti ora anche nell’amministrazione pubblica, vuol dire che più che

un’azione di governo sta compiendo un’azione di destrutturazione delle basi fondanti dello Stato. Lavoratori delle aziende, operai, e ora anche dipendenti pubblici: tutti sotto la mannaia di Elsa Fornero che, insieme al ministro Patroni Griffi, vorrebbe rendere equipollenti i trattamenti di allontanamento dai posti di lavoro. Il tutto in nome di una ripresa economica che non solo non esiste e non si affaccia all’orizzonte più prossimo ma che è anzi completamente assente e che, dando uno sguardo al più complesso scenario europeo, non dà segni di conversione in una ripresa nemmeno nel prossimo futuro.
La Grecia è sul confine tra Euro e Dracma, la Spagna conservatrice di Mariano Rajoi chiede aiuti a Bruxelles, la Germania si rifiuta di accettare gli Eurobond e, per ora, l’unica nuova alleanza interstatale che sembra formarsi e tenere è quella tra Mario Monti e il neopresidente francese Hollande.
Un dialogo e un’alleanza di linea economico-politica che sembrerebbe sconfessare l’operato di Elsa Fornero all’interno dell’esecutivo. Non si tratta di una sfida tra chi è meno liberista e chi lo è di più. Qui ci troviamo interamente all’interno di uno scontro tra visioni simili dello sviluppo del mercato del lavoro, quindi da un punto di vista privato. Ma per Hollande, almeno, il ruolo dello Stato non deve e non può essere completamente esautorato, mentre per Angela Merkel e per altri leader europei viene prima il volere della Banca Centrale Europea con conseguente adeguamento politico ed esecutivo dei rispettivi governi nazionali.
L’Italia schizofrenicamente ha un primo ministro che non disdegna di dialogare con Hollande e un ministro del lavoro che invece somiglia molto di più all’intransigenza della cancelliera tedesca.
In una situazione di crisi economica come quella data, non dico un governo soviettista, ma semplicemente quello che viene definito un “governo tecnico” (ben sapendo che mai è stato tecnico, proprio perché messo lì dove siede a Palazzo Chigi dal Presidente Napolitano su caldeggiante invito della BCE) dovrebbe prendere atto delle leggi economiche del capitalismo e impedire una riduzione della fiscalizzazione per le imprese come premio per l’insediamento del nuovo presidente Squinzi. Dovrebbe mediare tra sindacato degli industriali e sindacati dei lavoratori e svolgere non un ruolo classista ma un ruolo strettamente “tecnico”.
La risposta a questa aspirazione é: è impossibile. Un governo, e in particolare un governo non dichiaratamente di parte, politicamente schierato ma retto da una maggioranza trasversale, continuerà a dichiarare di essere un governo di saggi, quasi un comitato di sapienti messo alla guida della Repubblica per riconsegnare al Paese una dignità economica che mai corrisponde alla dignità dei lavoratori ma solamente a quella del profitto imprenditoriale.
Possiamo dire, con tutta evidenza, che meglio di un governo tecnico non ce n’è altro che possa essere oggi definito come Marx definiva genericamente i governi: “un comitato di affari della borghesia”. E non suoni anacronistica questa espressione, perché ciò che Confindustria chiede sarà ancora messo in essere dalla linea dura di Elsa Fornero sul lavoro, sulla linea di condotta dei licenziamenti e su un nuovo attacco ai diritti di chi sbarca il lunario con il modesto, semplice e unico aiuto del salario.
La Cgil, riferendosi proprio all’accanimento della ministra del lavoro sulle pratiche di licenziamento, parla ormai di vera e propria “ossessione”, come di una guerra dichiarata senza se e senza ma a quell’articolo 18 che non può essere toccato e manomesso e che Elsa Fornero vorrebbe invece far saltare in aria quasi fosse una vecchia miniera in esaurimento da smantellare con qualche candelotto di dinamite.
Ed invece l’articolo 18 è tutto ciò che resta tra lo strapotere padronale di rendersi liberi dai vincoli delle leggi che proteggono i diritti dei lavoratori e l’indiscriminata azione a tutta esclusiva discrezione personale del padrone in tema di licenziamenti.
La crisi economica che attanaglia il Vecchio Continente è stata giorni fa oggetto di considerazioni anche del Presidente degli Stati Uniti Barak Obama: praticamente si è detto che bisogna fare presto, che i mercati non aspettano oltre e che l’Europa deve risolvere questa crisi senza un patto di collaborazione tra industriali e lavoratori, ma scaricando tutto il peso dei sacrifici proprio su questi ultimi.
Curiosa osservazione quella di Obama, visto che la crisi nasce proprio nel suo grande paese, tra bolle speculative e grandi finanziarie di cartone che crollano al primo soffiare dei venti contrari delle borse.
L’Europa, divisa politicamente e quindi anche sui singoli interessi economici degli stati membri, balbetta, bofonchia ma non da una risposta secca al presidente americano. In fondo l’autonomia dell’Unione Europea si ferma al conio dell’Euro e al suo repentino tramonto se non si metteranno d’accordo i poteri economici e i governi nel mantenere un precario equilibrio monetario che, se abbandonato, ci farebbe precipitare in una svalutazione del denaro così forte da farci rimpiangere in pochi istanti l’Euro stesso.
Una prigione di interessi privati costringe, quindi, il lavoro ad essere ancora una volta completamente subordinato al capitale, senza alcuna difesa della terza parte governativa che si fa invece interprete quotidianamente delle linee direttrici confindustriali.
Con un sindacato diviso sulla metodologia di azione e anche sui contenuti da trattare come prioritari, è indubbiamente difficile creare una lotta unitaria, una lotta che metta insieme operai, precari, studenti, terzo settore e anche quei pensionati (e sono decine di milioni) che vedono sotto attacco l’impianto di tutela dell’ultima parte della nostra vita.
Sembra che Elsa Fornero più che essere a capo di un ministero sia a capo dell’Ufficio licenziamenti del governo. Una intransigenza insopportabile e che porterà a nuove lotte di piazza, ad una ripresa del conflitto democratico e sociale dove la sinistra italiana non potrà che fare fronte comune abbandonando le incertezze e unendosi su lotte di primaria importanza, di difesa più elementare della vita dei più deboli e di coloro che lentamente scivolano in questa condizione di sempre più indigente sopravvivenza.
C’è qualcosa di peggio di un governo filo-padronale e di destra, ed è un governo che scavalca i padroni addirittura nelle loro richieste di tutela del privilegio della proprietà privata e dell’aumento esponenziale di profitto come elemento illustrato alla popolazione di esclusiva misurazione della crescita economica generale della nazione.
Ecco, il governo Monti si trova in questa seconda scena: tragicomica? Piuttosto tragedia e farsa accomunate, indistinte e terribilmente penetranti nella vita della povera gente, senza scampo, senza via d’uscita. Aspettando la sinistra che reagisca e che esca dal suo letargo, dalle sue divisioni e si unisca su queste lotte. Così come senza se e senza ma è la furia licenziatrice della ministra Fornero, così senza se e senza ma deve essere la protesta popolare su tutto il territorio nazionale. Ogni minuto passato a guardare ciò che accade è un minuto regalato al regime del licenziamento ultra facile.

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