di Mauro Del Corno

A volerla vedere l’America la trovi anche qui. Per cercare innovazione, prodotti d’avanguardia, lavoratori efficienti ed esperti, i dirigenti di Volkswagen non hanno attraversato l’Oceano ma solo le Alpi. Sono venuti a Torino per incontrare 30 aziende piemontesi di componentistica auto e valutare accordi di fornitura. Proprio in quello che fino a ieri fa era il feudo della Fiat ma da cui il Lingotto si sta progressivamente disimpegnando dopo la svolta “Detorit-centrica” impressa da Sergio Marchionne.

Ed è probabilmente qualcosa di più di una coincidenza il fatto che il gruppo tedesco muova verso Torino proprio mentre Fiat spedisce in cassa integrazione tutti i dipendenti di Mirafiori per la prima volta nella storia del celebre stabilimento.
La testa di ponte per lo sbarco tedesco in Piemonte è la Italdesign di Giorgetto Giugiaro, prestigiosa firma del design automobilistico passato armi e bagagli sotto l’insegna tedesca nel 2010, in aperta polemica con le politiche industriali di Fiat. Insieme alle istituzioni locali Italdesign ha promosso e organizzato l’incontro e ad ascoltare l’entusiasmo con cui Walter De Silva, responsabile design di Volkswagen, accoglie l’iniziativa viene da pensare che Fiat stia davvero abbandonando un tesoro.

Secondo De Silva questa è ” un’ area esplosiva , dove ci sono grandissime capacità”. Nell’ormai ex territorio di casa Agnelli, sono presenti ben 900 aziende della filiera auto, a volte anche molto piccole ma estremamente agguerrite e innovative. Come sottolinea Giuseppe Berta, storico dell’economia, profondo conoscitore di Fiat e del tessuto imprenditoriale piemontese, quest’area ha davvero pochi eguali al mondo. “Qui, spiega, si concentrano aziende di design e di meccatronica di altissimo livello. Non si producono semplici componenti per auto ma veri e propri sistemi in cui è presente molta alta tecnologia”. “Per di più – continua Berta – la scrematura è già avvenuta negli anni scorsi e ormai sono rimaste solo le imprese più sofisticate e competitive”.

L’arrivo di Volkswagen è dunque l’ennesimo segno di vitalità e capacità di questo prezioso tessuto imprenditoriale ormai capace di sopravvivere e affermarsi anche senza mamma o matrigna Fiat. I tedeschi sono talmente attratti dalle potenzialità di questa zona da non escludere neppure l’ipotesi di installare direttamente qui un loro stabilimento. Nessuna paura di sindacati, Fiom o articolo 18. Anzi, proprio in questi giorni il gruppo ha deciso di portare anche in Italia il modello tedesco di co-gestione che valorizza il ruolo dei sindacati coinvolgendoli direttamente nella scelte strategiche dell’azienda. L’accordo è stato firmato la scorsa settimana e riguarderà i mille dipendenti della rete distributiva italiana di Volkswagen.

Una strada che corre in direzione opposta rispetto alla Fiat di Marchionne. Qualcuno dirà che, al di là di scelte e valutazioni ideologiche, i tedeschi semplicemente se lo possono permettere. Volkswagen è infatti un gruppo che punta alla leadership mondiale, macina utili, infila un record di vendite dopo l’altro e solo nel 2011 ha pagato ai suoi dipendenti un bonus da 7500 euro. Ma questi risultati non piovono dal cielo. Sono scelte di politiche lungimiranti frutto di grandi investimenti sul prodotto e, appunto, di un rapporto virtuoso con le forze lavoro. A metà degli anni 90 il gruppo tedesco immatricolava in Europa più o meno lo stesso numero di auto di Fiat. Oggi ne vende quasi il quadruplo. Ogni anno investe in ricerca su nuovi modelli qualcosa come 20 miliardi di euro, dieci volte tanto rispetto a quanto fa Fiat.

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