di Stefano Galieni

Che la sua ora era vicina lo sapevamo da tempo ma poi è dura da mandare giù. Rina “Carla” Verbano per molti della generazione degli anni Settanta, ha ben presto smesso di essere ricordata unicamente come la madre di Valerio, il compagno ammazzato in maniera vigliacca nella propria abitazione a Roma il 22 febbraio di 32 anni fa.

Quella morte resta un buco oscuro della nostra storia, una storia repubblicana costellata di omicidi e stragi ad opera di fascisti e rimasti impuniti. C’è una memoria che resiste in tal senso e che non potrà mai trovare pacificazione. Ha attraversato anni duri in cui se si era militanti politici si rischiava la pelle, se si provava, come Valerio ha fatto, ad indagare nei i torbidi legami fra neofascismo, malavita e istituzioni, se ne pagava facilmente le conseguenze. Oggi ancora non conosciamo esecutori e mandanti di quel delitto, le indagini condotte all’epoca – come in tanti casi – hanno in gran parte oscillato fra sciatteria e depistaggio. Poco interesse a cercare i responsabili della morte di un “autonomo” come scrissero i giornali borghesi, poca voglia di rimestare fra i fili scoperti di una destra eversiva con amicizie nei palazzi alti del potere. Ma Carla alla sua battaglia di verità e giustizia ci ha sempre e ostinatamente continuato a voler credere. Avrebbe voluto, lo raccontava spesso ,sentir suonare alla porta della propria abitazione ed aprirla agli assassini del figlio, per guardarli in faccia, per chiedere il perché di tanta crudeltà. Non è accaduto ed ha dovuto combattere per decenni non solo contro un male a cui ha resistito con forza sovrumana ma contro la volontà di normalizzare una vicenda così grave. L’intestazione di una via al figlio, le iniziative dei sindaci che si sono succeduti a Roma, tese tanto a dichiarare una retorica ricerca della verità per tutti i morti di quelle terribili piazze, quanto ad espungere la parola “fascista” ( perché di questo si tratta) per sostituirla con una generica “violenza” senza colore né contesto, rimuovendo le ragioni di un conflitto sotterraneo che ha attraversato l’intero Paese e con esso una generazione politica. Carla ha combattuto questa battaglia anche cercando nelle istituzioni delle risposte che non sono mai arrivate, ha scelto il dialogo e il confronto, si è battuta indomita non solo per un figlio perso ma perché parte integrante di una storia collettiva. Ed era sempre stupita che ad ogni ricorrenza, nuove generazioni si affacciassero alla piazza e a quel ricordo, ragazzi e ragazze nate quando Valerio era già stato ucciso da tempo, che si documentavano, che volevano e vogliono ancora sapere di più. Cercava la verità ed in molti hanno cercato di proporne di confezionate, di false: ogni tanto spunta un nuovo filone, frutto di curiose coincidenze, di voci raccolte in un sottobosco infido, a volte si riapre la speranza di sapere, di conoscere, nomi, cognomi e motivi. Ora Carla non potrà più sperare di trovarli quei fili e senza affidarci a immagini consolatorie e deresponsabilizzanti, toccherà a chi resta proseguire la ricerca, per Valerio, per Carla, per un generazione di compagne e compagni.

 

 

 

 

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