di Roberto Musacchio

La data cerchiata di rosso è quella del 17 giugno, quando i greci riandranno alle urne, in una sorta di tempo supplementare che tiene tutti col fiato sospeso. Quel voto si incrocerà con il secondo turno delle legislative francesi che invece avranno il primo round una settimana prima, il 10. Ancora una volta ad un mese di distanza le sorti di Grecia e Francia si incrociano.

Allora si contavano i voti che avrebbero eletto Hollande presidente nello stesso momento in cui lo spoglio in Grecia terremotava i diktat della Troika e i partiti che si erano prestati ad eseguirli. La combinazione che si ripropone tra i due scenari sembra una volontà del destino di indicare che quello spiraglio che si è aperto con la vittoria di Hollande potrà essere tale solo se saprà misurarsi con il livello della crisi che la Grecia manifesta appieno. In realtà la crisi non riguarda la Grecia ma l’Europa.
In molti autorevoli commentatori hanno scritto che questa Europa ha i giorni contati. Io resto convinto che più che andare verso un generale big bang, con tanto di deflagrazione dell’euro, siamo dentro ad un processo di ristrutturazione complessiva, una vera e propria fase costituente di un nuovo assetto che si vuole non sia più fondata su quel compromesso sociale e democratico che prese l’avvio con il secondo dopo guerra. Naturalmente come tutti i processi di questa portata anche questo avviene in forme incandescenti ed aperte a soluzioni anche diverse. La crisi d’altronde è innegabile.
I dati ultimi di Eurostat in materia di disoccupazione danno per raggiunta la quota 11% nell’area euro, con quasi un punto e mezzo di aggravamento dal momento di apertura della crisi stessa. Per altro l’area euro conferma un trend che la vede stare peggio in termini di disoccupazione dell’area Europa a 27, che arriva comunque anch’essa al 10,3%. Un trend che ha visto la linea della disoccupazione in area euro superare quella di Europa a 27 dal 2004: dato che dovrebbe far riflettere non poco su quanto la politica monetaristica  non abbia avuto influssi benefici ed anzi abbia trasformato l’utilità della moneta unica nel suo contrario.
Il tutto si aggrava con le politiche cosiddette contro la crisi che hanno trasferito masse finanziarie ingenti verso il sistema delle banche e per tamponare i costi sociali -6500 miliardi di euro!-  trasformandoli in un debito la cui restituzione è imposta ai cittadini tramite le cosiddette politiche di austerità. Non a caso il punto più alto di disoccupazione si tocca ora all’acme di quelle politiche e riguarda più fortemente i Paesi maggiormente vessati dal cosiddetto risanamento.
Sulle “ asimmetrie “ determinate nel sistema finanziario dalle convenienze tedesche sul costo del denaro ormai scrivono tutti. Ma sarebbe bene insistere di più anche sulle asimmetrie sociali che i dati di Eurostat mettono drammaticamente in mostra. Di fronte a tutto ciò il lavorio per volgere la crisi stessa in un processo costituente del nuovo ordine di una Europa che, come è stato autorevolmente detto, prenda atto dell’impossibilità di mantenere il proprio modello sociale continua. La Commissione Europea ha appena approvato un corposo pacchetto di Raccomandazioni, che dovranno essere varate dal Consiglio Europeo di fine Giugno, che danno attuazione al mandato che è stato assegnato alla Governance costituita con l’istituzione del semestre europeo di bilancio ed euro plus. Sono Raccomandazioni che riguardano sia l’aggiustamento sia la cosiddetta crescita. Anche da queste si vede come contrapporre o aggiungere la crescita all’austerità non risolve i problemi che riguardano la natura delle politiche vuoi per i bilanci vuoi per la crescita. Si concretizzano per altro in 27 lettere, una per Paese, con le indicazioni degli obblighi da seguire su tutte le politiche, dalle pensioni al lavoro pubblico, che concorrono al bilancio. E indicazioni trasversali sulla crescita da realizzare grazie alle liberalizzazioni del mercato del lavoro e dei servizi. Si aggiungono alcune prime misure di coordinamento bancario che alludono a quello che potrebbe essere veramente un piano di nuovo assetto che è cominciato ad uscire sui giornali e non a caso è stato smentito.
Un piano che sostanzialmente prosegue a maggiore velocità e con un salto di qualità nella costruzione di un super governo tecnocratico europeo che assuma più pienamente il controllo non solo dei bilanci, ma della fiscalità e delle regole sociali. Naturalmente per realizzarsi ha bisogno che si maturi ulteriormente quell’equilibrio tra poteri forti che pure fin qui ha concesso alla governance esistente già ora di realizzare una consistente mole di provvedimenti di metodo e di merito, che vanno appunto dal six pack al Fiscal Compact. Non è un caso che proprio su quest’ultimo si giocano parti significative delle manovre necessarie al nuovo aggiustamento.
E’ stato approvato in Irlanda, con un voto però scarsissimo, che appena valica nella partecipazione il 50% degli aventi diritto e consegna al si un terzo scarso degli stessi. Un si appoggiato da tutti i principali partiti, a partire da Popolari e Laburisti, lasciando il no praticamente al solo Sinn Fein che però non a caso ora nei sondaggi per le elezioni politiche doppia il voto laburista.
La Cancelliera Merkel vorrebbe approvarlo in Germania prima della pausa estiva, che lì si apre il 6 luglio; e necessita dei voti dell’opposizione, a partire dalla Spd, per raggiungere i due terzi previsti dal regolamento. La Spd non è di principio contraria al Fiscal Compact ma vorrebbe norme aggiuntive e dunque prende tempo. Così come sembrerebbero fare ora in Italia Pd e Pdl, che pure hanno già votato l’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio.
Ma soprattutto la partita riguarda i grandi soggetti forti compresi gli USA. Tutto porta dunque a fine giugno, quando ci sarà il Consiglio Europeo, ma prima  alla data segnata col cerchio rosso: quella delle elezioni in Grecia e Francia. E sì, perché in questa realtà di grande manovre pure si continua ancora ad avere dei voti popolari su cui si scaricano pressioni fortissime ma che sono ancora in grado di dare qualche sorpresa.
Partiamo dalla Francia dove Hollande ha vinto parlando di rinegoziazione del Fiscal Compact. Ora le legislative dovranno dire se ci sarà una maggioranza parlamentare di sinistra o no e se i socialisti saranno autosufficienti. I sondaggi danno il PSF in testa con un poco più del 30% e l’UMP a ridosso. Poi la Marine Le Pen al 16%, il Front de Gauche al 9-10% e i verdi al 4-5%. Molto bassi i centristi. Conteranno alla fine i seggi che risulteranno dal modo con cui si andrà al secondo turno. Se non sarà maggioranza assoluta socialista serviranno i voti del Front de Gauche che non vuole andare al governo ma vuole sicuramente pesare sulla politica, ed è decisamente contro l’austerità.
In Grecia i sondaggi sono parte del clima infuocato che si vive. Si capisce però che Syriza, la coalizione di sinistra che fa parte del Partito della Sinistra Europea, potrebbe anche farcela ad essere primo partito e a prendere quei 50 seggi di premio che per decenni avevano garantito la spartizione del potere tra conservatori e socialisti. Di sicuro il popolo greco è contro il memorandum e qui c’è il nodo democratico di rendere possibile l’attuazione di questa volontà cambiando, non la volontà del popolo, ma la politica europea. Il leader di Syriza ha viaggiato molto andando a Parigi e Berlino e auspicando proprio questo cambiamento. Che è la questione vera di fronte a noi.
Pensare, da sinistra, di aggiustare i cocci di questa politica è fuori di ogni ragionevolezza. Di fronte alla volontà di procedere nella fuoriuscita dal compromesso sociale europeo creando un supergoverno tecnocratico che la realizzi occorre mettere in campo un progetto opposto che si fondi sulla proposizione di una nuova compiuta democrazia europea che rigetti le politiche liberiste e rilanci e re-inveri quel  modello sociale. E la democrazia prevede che vi siano i soggetti che la incarnano, partiti, organizzazioni e movimenti sociali, e le sedi che la operino a partire da un Parlamento Europeo che sia eletto per liste europee e non nazionali e che abbia poteri legislativi e di formazione del governo. Ciò che un tempo era normale e che in questa Europa postdemocratica rischia di non esserlo più.

 

 

 

 

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