di Stefania Brai
Siamo stati facili profeti quando anche a proposito della Rai parlavamo di rischio di “sospensione della democrazia”. È quello che è già avvenuto con l’indicazione da parte di Monti di Anna Maria Tarantola, vice direttore generale della Banca d’Italia, a presidente del servizio pubblico radiotelevisivo, e di Luigi Gubitosi, Bank of America, alla carica di direttore generale.
Sospensione della democrazia dal punto di vista formale perché si torna a prima della riforma del 1975, con il governo che indica il direttore generale che per legge deve essere nominato dal consiglio di amministrazione.
La riforma del 1975 fu “rivoluzionaria” per tanti motivi ma fondamentalmente perché toglieva la Rai dalle ingerenze governative per affidarla nelle mani del Parlamento, cioè della più alta Istituzione del nostro paese e di chi in quella Istituzione è stato eletto per volontà dei cittadini.
Sospensione dal punto di vista sostanziale perché a dirigere la più grande istituzione culturale del paese vengono messi donne e uomini delle Banche, ritenuti “neutrali dal punto di vista politico”. Neutrali infatti come questo governo di “tecnici” che continua a massacrare i lavoratori, i pensionati, lo stato sociale, la scuola, la cultura. La democrazia. Sono stati scelti invece in perfetta coerenza con una politica economica, sociale e culturale che lavora per una società dove tutto è mercato e tutto deve essere privatizzato.
E sospensione della democrazia è quello che rischia di avvenire in Commissione parlamentare di vigilanza se il Partito democratico, come annunciato, voterà il Presidente della Rai proposto da Monti ma non voterà i membri del consiglio di amministrazione per non partecipare alla spartizione dei posti. Quindi: meglio tutti uomini indicati dal governo, meglio altri esponenti del potere finanziario e delle banche.
Perché invece i parlamentari del Pd e tutti coloro che finora si sono indignati per le nomine alle Autorità di garanzia e che hanno chiesto a gran voce che la “Rai fosse restituita ai cittadini” non danno un segno reale di rottura dalle ingerenze politiche e governative votando contro la proposta Tarantola e nominando nel consiglio di amministrazione della Rai personalità del mondo della cultura, dell’informazione, del lavoro, della produzione culturale e dell’associazionismo, che possano - questi sì - garantire professionalità indipendenza e autonomia? Lo hanno chiesto finora, hanno adesso l’occasione per farlo.
Se vogliono realmente un servizio pubblico radiotelevisivo all’altezza delle sfide tecnologiche di oggi e di domani, se vogliono realmente che la Rai torni ad essere un’azienda democratica e autonoma, decentrata e partecipata, che dia voce a tutta la produzione indipendente diffusa su tutto il territorio nazionale, pluralista nella sua offerta culturale nel rispetto dei tanti “pubblici” e sganciata dalle logiche di mercato.
Altrimenti vuol dire che finora hanno scherzato.