di Loris Campetti
Se non fosse una bestemmia, quella del Tribunale del Riesame di Taranto si potrebbe definire una sentenza politica. Conferma che Riva ha avvelenato e continua ad avvelenare i suoi operai e i cittadini di Taranto, come prima aveva fatto lo stato quando l'Ilva si chiamava Italsider. Conferma il sequestro degli impianti, ma lo finalizza alla loro bonifica. Conferma il carcere per la famiglia Riva ma consegna l'impianto e il rispetto della sentenza al manager dei Riva, Ferrante. Si può dire che è stato tolto di mano ai padroni il timone, e si può anche dire che, comunque, il lupo è stato messo a guardia del gregge. Ma avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, il Tribunale del Riesame?
Le pressioni sulla magistratura sono state pesantissime e agite da più parti, a cominciare dal governo Monti e dal suo irrefrenabile ministro Clini. La pressione più forte che grava sulle scelte della magistratura è quella oggettiva, perché un giudice dev'essere terzo ma terzo non vuol dire marziano. Decenni di inquinamento hanno compromesso la salute di un'intera popolazione e di un territorio delicato quanto eccelso. Ma intorno al mostro d'acciaio si è sviluppato uno dei principali poli industriali e occupazionali, la vita e la morte di Taranto si intrecciano profondamente. Della vita della città, però, in pochi si sono occupati. Certo non i carnefici, i padroni della più grande acciaieria d'Europa che hanno sempre e solo guardato al profitto, eludendo richiami e impegni, rendendo complici persino le loro vittime. I sindacati hanno impiegato troppo tempo a riprendersi la loro autonomia di giudizio e di azione, e non tutti l'hanno fatto contribuendo così ad allargare il fossato tra i lavoratori e la città.
Un giudizio su una sentenza come quella emessa ieri non può che essere sub judice: dipende dalla sua applicazione, da come si comporterà Riva e dai soldi che investirà per rendere tollerabile la presenza della fabbrica in città, e dipende naturalmente dai controlli. Ma le lavorazioni a caldo dell'Ilva dentro una città possono essere compatibili con la vita e la salute dei cittadini e dell'ambiente? Se lo chiedevano le donne di Cornigliano finché non l'hanno spuntata, se lo chiedono i tarantini e prima o poi anche loro la spunteranno. Certo, chi oggi proponesse di mettere un altoforno nel cuore di Roma o Cagliari o Verona sarebbe considerato un pazzo. Non è stato così ieri a Napoli, a Genova e a Taranto e con i disastri di una politica industriale cieca dobbiamo oggi fare i conti, e non li si possono fare in un giorno. Quel che si può fare subito, invece, e si deve fare, è rovesciare i principi e i fini di una futura politica economica chiedendoci cosa, come e dove produrre nel rispetto di inappellabili vincoli sociali e ambientali.
da il manifesto