di Lorenzo Battisti
Domenica scorsa si è tenuto il primo turno delle elezioni legislative in Francia. Attraverso un processo elettorale piuttosto complicato, i francesi eleggono i deputati all’Assemblea Nazionale, l’equivalente della nostra Camera dei Deputati. Queste elezioni, osservate dall’Italia, possono servire per confermare o correggere l’analisi sulle tendenze di fondo della società francese, tanto rispetto alla crisi, quanto all’Europa.
Come per le elezioni presidenziali, anche in questo caso si tratta di un sistema molto personalistico, che quindi rende più difficile individuare chiaramente i processi sottostanti. Se però si leggono congiuntamente i risultati delle presidenziali e delle legislative, si possono trarre alcune indicazioni.
Il sistema elettorale francese
In Italia ultimamente si discute molto di modifiche delle leggi elettorali e si prende spesso a riferimento, anche a sinistra , il modello francese. Ritengo quindi utile cogliere l’occasione per descriverlo brevemente.
L’elezione dei 577 deputati francesi avviene su base esclusivamente maggioritaria:il territorio francese è diviso in altrettanti collegi, ciascuno dei quali elegge un deputato per l’Assemblea Nazionale. Per essere eletti è necessario raggiungere la maggioranza assoluta dei voti. Se questo non avviene al primo turno, si effettua un secondo turno, a cui partecipano tutti i candidati che hanno ottenuto almeno il 12,5% del voto degli iscritti alle liste elettorali (non dei votanti!). C’è quindi la possibilità che al secondo turno siano presenti anche tre o quattro candidati, di conseguenza abbondano gli accordi tra i partiti.
Questo sistema appare poco attento alla rappresentatività al pari di altri sistemi elettorali di tipo maggioritario. Da una parte ha permesso, tramite accordi “repubblicani” di escludere il Front National dal parlamento; dall’altro può impedire a forze che hanno percentuali consistenti di avere rappresentanza nell’Assemblea Nazionale. Inoltre, tanto più cresce l’astensione, tanto più sarà difficile per i partiti minori accedere al parlamento. Infine premia le forze che beneficiano di una concentrazione geografica dei voti rispetto a quei partiti che, pur avendo la stessa percentuale di voti, sono più omogenei nella loro distribuzione.
Il risultato di questo sistema elettorale è quello di spingere i partiti a fare accordi prima delle elezioni per spartirsi i seggi (in una forma francese di desistenza) e di personalizzare fortemente la contesa: avere un buon candidato nel collegio può far variare il risultato anche in maniera significativa.
I risultati elettorali
Il primo dato che appare significativo è quello dell’astensione: se si sommano il non voto, i voti bianche e nulli, solamente il 56% degli iscritti al voto si è espresso. Poiché in Francia per votare è necessario richiedere l’iscrizione alle liste elettorali, questo significa che la partecipazione al voto è stata ancora minore. Dopo l’alto tasso di partecipazione alle elezioni presidenziali, l’astensione torna ai livelli delle precedenti elezioni regionali e cantonali.
Ragionare sulle cause della forte astensione risulta quindi un problema non evitabile, tanto in Francia quanto in altri paesi d’Europa. E’ difficile dare di un fenomeno così importante spiegazioni semplici e veloci. Per quanto riguarda la Francia, si possono però fare alcune osservazioni. La prima è che, in un sistema fortemente centrato sul Presidente della Repubblica, le altre elezioni perdono di importanza. Soprattutto dopo la decisione di Chirac di fissare le elezioni legislative successivamente a quelle presidenziali, in modo da evitare la coabitazione (un Presidente della Repubblica e un Parlamento di colori differenti). Una volta eletto il Presidente, e con scarse probabilità di eleggere un Parlamento non in sintonia con esso solo un mese dopo, non c’è un forte interesse a tornare a votare. Non si può però non analizzare questo fenomeno anche da un punto di vista sociale. Di certo ha influito il processo di smantellamento del forte stato sociale francese, portato avanti tanto dai governi socialisti quando da quelli di destra: questo processo, sebbene abbia proceduto più lentamente che in Italia grazie alla forte resistenza sociale e sindacale, fa sentire maggiormente i suoi effetti in tempo di crisi. Lo stesso si può dire della precarietà lavorativa. Appare quindi logico che l’astensione si concentri, secondo le analisi sociologiche, tra gli elettori giovani, quelli meno istruiti e quelli che vivono nelle banlieues (le periferie): loro hanno sperimentato un’uguaglianza tra sinistra e destra nello smantellamento della sicurezza sociale, e se sono neri (non potendo votare Fn), tendono a non partecipare alle elezioni. Non si può dimenticare che, nel silenzio mediatico, nelle periferie francesi continuano gli incendi di vetture (a centinaia a ogni capodanno e durante l’anno) e altri episodi simili a quelli avvenuti nelle rivolte urbane degli ultimi anni.
L’analisi del comportamento degli elettori che si sono recati a votare appare, a causa del metodo elettorale francese, molto difficoltosa:gli accordi di desistenza e la difficoltà di alcuni a presentare candidati su tutto il territorio nazionale non permettono una lettura immediata del voto percentuale ottenuto da ciascun partito. Partendo però dai macro-aggregati ed entrando poi nelle particolarità di ciascuna situazione si possono ottenere delle indicazione di lettura.
Il Partito Socialista risulta il partito più votato (29,35%) e con i suoi alleati sorpassa la coalizione di destra guidata dal partito di Sarkozy , l’UMP (27,12%). Resta quindi una volontà generale del popolo francese di confermare la scelta fatta un mese fa con l’elezione di Hollande e di sostenere il nuovo governo socialista. Non si è però assistito a una “vague rose” (un’onda rosa) come alcuni avevano previsto, in seguito alla sconfitta di Sarkozy e allo sbandamento in cui si è trovato il suo partito, stretto a destra dal Front National. Proprio l’UMP ha dimostrato di riuscire a tenere sul piano elettorale e sembra che il processo di riorganizzazione nella destra francese sarà più lungo del previsto.
Il Partito Socialista, prima delle elezioni aveva deciso di sottoscrivere diversi accordi di desistenza con alcuni partiti, in cui, in cambio di alcuni candidati nei collegi sicuri, questi avrebbero sostenuto quelli socialisti nel resto della Francia. In particolare era stato fatto un accordo con gli esponenti di Europa-Ecologia-I Verdi (EELV) nel 2011 (quando questi venivano da un risultato intorno al 16% alle cantonali e alle europee) che garantiva a costoro 60 candidati di cui 15 eleggibili, tali da poter formare un gruppo parlamentare. Questo ha assicurato un’ottima rappresentanza per i Verdi a fronte di un risultato che, al netto di questo accordo, non sembra allontanarsi dal pessimo risultato delle presidenziali.
Un altro accordo non è purtroppo stato concluso: quello a sinistra, tra i socialisti, i verdi e il Front de Gauche per impedire al Front National di andare al secondo turno in alcune circoscrizioni. Il rifiuto da parte dei Verdi di rinunciare ad alcune candidature ha impedito la possibilità dell’accordo, lasciando che la sinistra si presentasse in maniera frammentata nei collegi forti del Fn.
C’è la possibilità che il Partito Socialista riesca ad ottenere da solo la maggioranza all’Assemblea Nazionale, senza così dover contare sui propri alleati nel decidere le riforme da compiere. E soprattutto senza dover contrattare con i deputati del Front de Gauche, nel caso questi fossero determinanti per ottenere la maggioranza. Inoltre tutti i ministri dell’attuale governo sono stati eletti o sono risultati i primi al secondo turno, e quindi saranno probabilmente eletti: questa era una condizione posta dal Hollande perché essi rimanessero nel governo.
L’UMP, come detto, sembra aver resistito più delle aspettative alla disfatta di maggio. Questa ha gettato il partito nel disordine generale, in cui diversi capi-corrente hanno cominciato il dibattito sul futuro. Ma soprattutto si è aperta la possibilità di accordi con il Front National in alcuni collegi dove rischia di vincere la sinistra:sebbene questo non sia stato affermato da nessun dirigente nazionale, diversi candidati non hanno escluso questa possibilità, cominciando così a far saltare il cordone sanitario a cui la desta aveva aderito nei decenni precedenti:per riassumerlo, come aveva detto Sarkozy in passato, ne fronte repubblicano ne fronte nazionale. L’obiettivo principale per l’Ump è quello di evitare che la sinistra ottenga i due terzi dei seggi per impedire che possa riformare la Costituzione.
I partiti che sono rimasti al di fuori di coalizioni di governo (il Front de Gauche, il Centro per la Francia di Bayrou e il Front National) hanno avuto destini diversi:pur di fronte a una forte bipolarizzazione del voto, hanno reagito in maniera diversa.
La prima e principale vittima è il Centro di Bayrou, che quasi scompare rispetto al 2007: lo stesso Bayrou non sarà probabilmente eletto, dovendosi confrontare al secondo turno con un socialista e un candidato dell’Ump. In generale il suo partito ha ottenuto 1,76%, perdendo il consenso anche in aree della Francia in cui era stato forte : l’Ovest e la Francia agricola e contadina. L’accusa al leader è quella di essersi avvicinato troppo a Hollande, anche se sembra una spiegazione politicista: probabilmente, come avviene in altri paesi europei, la crisi tende a una scomparsa della classe media e del voto centrista e moderato.
Il Front National al contrario è riuscito a resistere bene, ottenendo un risultato inferiore alle presidenziali, ma in ogni caso ben al di sopra del 10% : il 13,60% permette al Front National di essere in testa in 3 circoscrizioni e di essere al secondo turno in altre 58. Un mese fa, sulla base dei dati delle presidenziali, si prevedeva che il Fn arrivasse al ballottaggio in 100 collegi, ma difficilmente si pensava che potesse eleggere qualcuno per la prima volta dal 1988. Invece questa probabilità diventa estremamente concreta, visto il risultato di Marine Le Pen, che risulta in testa nel suo collegio con il 42% dei voti (seguita dal socialista al 23%). A questo si aggiunge la tentazione di alcuni dell’UMP di fare accordi al secondo turno con il Fn, cosa che permetterebbe di fargli ottenere altri 1-2 seggi (tra i quali quello della nipote di Marine, candidata nel sud della Francia). Sebbene la desiderata esplosione dell’Ump non sia ancora avvenuta, riuscire ad entrare in parlamento sarebbe per il Fn un enorme successo e rappresenterebbe l’uscita dal ghetto in cui era stato recluso, aumentando così le possibilità di accesso ai media e alle agevolazioni ai partiti.
Infine il Front de Gauche, che ottiene un risultato migliore rispetto a quello di cinque anni fa, ma peggiore rispetto a quello delle presidenziali. Questo tipo di risultato era atteso. I sondaggi davano i candidati del FdG intorno al 7-8%, e così è stato: il risultato del primo turno è 6,91%. E’ interessante notare la sfida lanciata da Mélenchon a Marine Le Pen, candidandosi contro di lei in un collegio dove il Fn alle presidenziali aveva preso la percentuale più alta di voti, con l’obiettivo di andare al secondo turno e di sconfiggere la candidata del Fn. Purtroppo è risultato terzo candidato per qualche migliaio di voti, sebbene abbia migliorato il suo risultato rispetto alle presidenziali. Non si può però non apprezzare il coraggio di Mèlenchon che, invece di un collegio sicuro, ha preferito una sfida difficile con il rischio di non essere eletto. Un comportamento che di certo non è frequente tra i leader politici. L’obiettivo principale del Front de Gauche era quello di riuscire ad eleggere almeno 15 deputati, e di poter quindi formare un gruppo autonomo all’Assemblea; con il desiderio di risultare fondamentali per i socialisti nella formazione della maggioranza. Il secondo obiettivo sembra impossibile, mentre il primo viene messo fortemente in dubbio. Questo risultato permetterà forse di riequilibrare i rapporti all’interno del Front de Gauche rispetto agli ultimi mesi di campagna elettorale. Alcuni segnali si sono già visti : Pierre Laurent , segretario del Pcf, era andato a cercare l’accordo con il Ps e i Verdi; e sempre lui era stato ricevuto da Hollande dopo l’elezione. Inoltre si era concordato che il 70% dei candidati (e il 90% tra quelli eleggibili) fossero comunisti. Il risultato sarà probabilmente la fine del sogno del Parti de Gauche di trasformare il Front de Gauche in un partito, assorbendo il Pcf grazie alla personalità di Mélenchon. Sarà sicuramente anche la fine del sogno di molti “rinnovatori” dentro il Partito Comunista di andare nuovamente al governo con i socialisti: ora, oltre alla contrarietà del segretario Pierre Laurent, c’è anche la non necessità da parte dei socialisti.
Un piccolo appunto per ricordare che a queste elezioni si è presentato il Partito Pirata, in tutto simile al nostrano Movimento 5 Stelle, ma che non ha ottenuto alcun risultato significativo. Le ragioni sono molte: da un’opposizione abbastanza radicata all’austerità anche tra i socialisti, alle mobilitazioni sindacali degli ultimi anni fino a un diverso modo di affrontare la vita politica. Per fare un esempio su un tema cardine del grillismo, in Francia gli eletti comunisti devolvono al Partito il 100% di quanto ottengono dalla loro carica.
Il secondo turno
Quello che succederà al secondo turno resta molto indeterminato, proprio per la singolarità della situazione. Gli eletti al primo turno sono pochissimi: solo 36 su 577 rispetto ai 109 di cinque anni fa. Di questi 24 sono della coalizione che sostiene i socialisti , 11 sono della coalizione dell’Ump e uno appartiene al Partito Comunista de la Reunion. Le combinazioni possibili sono innumerevoli, come i possibili accordi. Per dare l’idea, il Front de Gauche avrà 22 candidati al secondo turno, di cui 15 si dovranno confrontare con altri candidati di sinistra e tre in un confronto a 3 con socialisti e Ump o Fn. Lo stesso si può dire per il Fn, che si troverà ad affrontare la destra in nove collegi, tentandola con degli scambi per ottenere l’appoggio in altri collegi. Quello che è certo, nonostante gli estimatori italiani, è che questo sistema elettorale è tutto meno che rappresentativo e trasparente.
In ogni caso, il risultato delle elezioni legislative sarà fondamentale nel determinare la linea del governo Hollande, quanto per definire la forza dell’opposizione. Infatti c’è la concreta possibilità che il Partito Socialista riesca ad ottenere un’insolita concentrazione di potere: sarà socialista il Presidente della Repubblica, la maggioranza al Senato (per la prima volta nella Quinta Repubblica), l’Assemblea Nazionale e la quasi totalità delle regioni. In questo caso i socialisti non avranno più scuse per i tentennamenti riguardo all’austerità e agli equilibri europei: se l’elezione di Hollande alla presidenza della Repubblica Francese ha permesso di rompere l’asse tra la Merkel e Sarkozy, l’effettiva possibilità di cambiare le politiche europee e di porre le basi per un’uscita a sinistra dalla crisi passano per il risultato delle elezioni legislative con cui si eleggono i deputati all’Assemblea Nazionale.
Sappiamo bene che la presenza istituzionale è un elemento indispensabile per cambiare la società, ma questo non è sufficiente per ottenere tale cambiamento. Molto importanti saranno le mobilitazioni che la società francese saprà organizzare come risposta a una crisi che, sebbene in misura minore rispetto all’Europa “Piigs”, colpisce duramente anche qui.
da Marx21.it