120707artondi Damiano Mazzotti
“La rivoluzione che viene” è un’opera che riunisce sei saggi molto originali di David Graeber, uno dei protagonisti del movimento “Occupy Wall Street”.
La tesi principale dell’antropologo americano consiste nel ritenere i pensatori neoliberisti ossessionati dall’idea di dover garantire che “non c’è nessuna alternativa” al capitalismo finanziario. Però i trionfi ideologici neoliberisti portano a ripetute catastrofi economiche e al diffondersi del “capitalismo kamikaze”: “un sistema che non esiterà ad autodistruggersi se ciò sarà necessario per sconfiggere i propri nemici”. Per questo motivo Graeber insiste nell’evidenziare alcuni aspetti centrali della lotta di classe nella società statunitense: “la negazione del diritto di comportarsi bene, di essere nobili, di ricercare valori diversi dal denaro”.
In realtà i principali membri della casta del potere multinazionale hanno compreso che il sistema “basato su un’antica alleanza tra potere militare e potere finanziario, tipica dell’ultimo periodo degli imperi capitalisti” è ancora in piedi quasi per miracolo. Oramai non si preoccupano di salvare l’attuale sistema capitalista-debitalista che è destinato all’implosione più o meno lenta e violenta. La loro strategia principale è diventata quella di eliminare ogni alternativa possibile dalle menti dei cittadini, in modo da essere “gli unici a poter fornire delle soluzioni” al momento della crisi finale.

In molti casi la società civile è riuscita nella difficile impresa di creare una piccola e breve egemonia culturale: ad esempio ha fatto progredire i diritti delle donne, ha arrestato l’espansione delle multinazionali dell’energia nucleare e ha ridotto lo strapotere del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale su molte nazioni. Le caste dirigenti occidentali temono i primi segnali di mobilitazione “e di solito cercano di distrarre l’attenzione con la proclamazione di una qualche guerra”, più o meno sbagliata. In particolare gli Stati Uniti “possono, in qualsiasi momento gli torni utile, decidere di regolare il livello di violenza in un altro continente. Questo si è dimostrato un metodo veramente efficace per disinnescare i movimenti che si occupano di problemi nazionali”.
La violenza è l’unico vero monopolio gestito dai governi e permette di stabilire delle relazioni più schematiche in bianco e nero, e delle pericolose semplificazioni. Per questo motivo “la violenza è spesso l’arma preferita degli stupidi: uno potrebbe quasi dire che sia la carta migliore, dal momento che è quella forma di stupidità alla quale è più difficile dare una risposta intelligente”.
Comunque oggigiorno il problema di molte nazioni è quello del debito pubblico. Le multinazionali si fanno fare leggi per non pagare le tasse. Troppi lavoratori sono stati licenziati o vengono pagati troppo poco e quindi non saranno più in grado di ripagare i debiti legati alla casa e ai consumi. D’altra parte dall’inizio della storia umana “il debito è il mezzo più efficiente mai creato per mantenere relazioni che sono fondamentalmente basate sulla violenza e su disuguaglianze violente, facendole sembrare giuste ed eticamente corrette. Quando il trucco non funziona più, esplode tutto”. Quando i beni diventano troppo costosi e gli interessi sui vari finanziamenti sono troppo pesanti i cittadini crollano a terra come asini massacrati dalla fatica.
Probabilmente non sarà questa gente disperata a trovare gli strumenti e le energie per innescare l’inevitabile rivoluzione culturale. Infatti saranno prevalentemente i giovani diplomati, i laureati disoccupati e precari i protagonisti di una nuova rivoluzione culturale che reinventerà i rapporti tra i cittadini, gli stati e le imprese, attraverso l’individualismo cooperativo. In ultima analisi “l’unico modo in cui si può convincere se stessi ad abbandonare il desiderio di fare del bene al mondo intero è quello di sostituirlo con un desiderio ancora più potente di fare del bene ai propri figli”.
Quindi serve una rivoluzione culturale centrata sulla creazione di oasi nazionali e internazionali dell’immaginazione gestite autonomamente dai giovani e bisogna iniziare a finanziare l’educazione demografica in tutte le scuole pubbliche. Nelle scuole private la cosa non è fondamentale, poiché le famiglie benestanti con figli disoccupati non creano nessuna problematica sociale seria. Alla fine dei conti il controllo delle nascite permetterà di lasciare più tempo e più spazio ai sentimenti altruistici e cosmopoliti e si eviteranno i ricatti lavorativi più miserabili, molti conflitti sociali e molte guerre civili.
Nel 1900 eravamo un miliardo e ora siamo sette miliardi: nessun genio sarebbe oggi in grado di fare il miracolo di dare un posto di lavoro a tutti ma qualsiasi burocrate animato dal buon senso potrebbe garantire un reddito minimo di sopravvivenza a tutti, in molti paesi, evitando gli alti costi sociali di molte immigrazioni che finiranno di saldare i figli disoccupati degli immigrati. Ad esempio la Banca Mondiale potrebbe finanziare direttamente i cittadini attraverso i micro-finanziamenti personalizzati agli studenti e ai disoccupati invece di perseverare nel foraggiare i dittatori e le caste dirigenziali parassitarie di quasi tutti i paesi.
In estrema sintesi la peggiore politica risiede nel monopolio del potere dello Stato e la politica è la “dimensione della vita sociale in cui le cose diventano veramente reali se un numero sufficiente di persone ci crede”. Così “Il rifiuto dei capitalisti di ripensare seppur minimamente ad alcuni dei propri assunti di base sul mondo, potrebbe significare non solo la fine del capitalismo, ma di tutto il resto”. Anche senza l’implosione finanziaria e la terza guerra mondiale termonucleare, questa cecità di classe finirà per certificare la fine del salutare senso di solidarietà tra gli esseri umani.
Nella vita l’importante non è saper anticipare il futuro, ma fare in modo che si realizzi nel modo migliore possibile, prima che sia troppo tardi per evitare eventuali sofferenze. Tra salvare una persona che sta affogando e recuperare il cadavere di un affogato c’è un bel po’ di differenza.

David Graeber è stato allontanato dall’Università di Yale a causa delle sue idee anticonformiste. Ora insegna Antropologia Sociale alla Goldsmiths University di Londra.

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