di Mario Gottardi
«Non ho mai visto prendere una donna per i capelli e darle un calcio nel sedere». È successo anche questo durante gli scontri a Cagliari tra gli operai dell ’Alcoa, l’azienda che produce alluminio a rischio chiusura, e le forze dell’ordine, chiamate a presidiare l’assessorato regionale del Lavoro, dove i lavoratori si sono recati ieri mattina alle dieci per chiedere rassicurazioni sulla cassa integrazione. Dopo ore di tensione il bilancio è di quattro feriti: due tra le forze dell’ordine e due tra i manifestanti. Il blitz è stato deciso durante un’assemblea convocata alle sei del mattino a Portovesme, davanti ai cancelli della fabbrica. «Abbiamo chiesto alle istituzioni risposte sugli ammortizzatori sociali per i lavoratori delle imprese d’appalto e gli interinali ma ancora non sono arrivate – spiega Rino Barca, segretario provinciale Fim Cisl – il ministero del Lavoro ha detto che il percorso doveva partire dalla Regione » .
Così gli operai non ci pensano su due volte e dal Sulcis partono verso il capoluogo. I primi dieci arrivano poco dopo le nove e mezzo. Tra loro ci sono anche Daniela Piras, segretario territoriale Uilm, e l’operaio Michele Sabiu.
È quest’ultimo a raccontare la mattinata. «Siamo senza tute, senza bandiere, senza caschi. Solo uno di noi ce l’aveva, in mano». Ed è stato proprio l’oramai celebre caschetto di plastica, il simbolo delle proteste operaie sarde che i lavoratori sbattono per terra in ogni manifestazione, a far capire che quei dieci sono operai Alcoa. «La guardia giurata ci riconosce e subito chiude la porta interna», prosegue Sabiu. Gli operai rimangono bloccati tra i due ingressi, in poco più di un metro di spazio. Immediatamente intervengono polizia e carabinieri in assetto antisommossa, chiamati a presidiare gli uffici appena si era sparsa la notizia che gli operai avevano lasciato Portovesme. Gli animi si scaldano. La polizia carica, ma gli operai rispondono alle manganellate. Uno di loro colpisce il viso di un agente con il caschetto. Nel parapiglia qualcuno aziona un estintore: l’ingresso dell’assessorato e la strada sono avvolti dalla coltre bianca Gli agenti continuano a spingere. Lo stesso operaio che ha colpito l’agente cade di spalle e sfonda la vetrata di una porta. Dopo essere stato soccorso, gli agenti lo ammanettano e lo portano in Questura. Verrà rilasciato solo alle 14, ma sulla sua testa pende una denuncia per violenza a pubblico ufficiale e lesioni. L’agente colpito al volto finisce al Pronto soccorso: per lui dieci giorni di cure. Anche un altro poliziotto è ferito. E ferita è anche Daniela Piras. «Era in terra ma la riempivano di calci – prosegue Sabiu – poi la sollevano per i capelli e le danno un calcio nel sedere per sbatterla fuori». Quando arrivano gli altri operai, un centinaio, le forze dell’ordine hanno riconquistato l’ingresso degli uffici. Gli animi si placano e l’incontro può avere inizio. Salgono Rino Barca (Fim Cisl) e Franco Bardi (Fiom Cgil), i due sindacalisti che il 10 settembre erano saliti su un silos a settanta metri d’altezza per protestare contro la chiusura dell’azienda. Con loro c’è anche Daniela Piras e un operaio interinale. Dall’altra parte del tavolo siede il direttore generale dell’assessorato, Massimo Temussi. Dopo tre ore la delegazione scende e spiega che la Regione si farà promotrice al ministero delle richieste dei lavoratori. Dopo il vertice, i sindacalisti vanno a prendere l’operaio in Questura. Al loro arrivo i colleghi applaudono. «Neanche a Roma ci hanno trattato così».