di Maurizio Landini
E' incredibile lo stupore che ha suscitato l'annuncio fatto dall'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, riguardo al fatto che il piano Fabbrica Italia non esista più.
Bastava guardare l'assenza della progettazione di nuovi modelli, la lunga cassa integrazione, il venir meno alla promessa di un anno e mezzo fa di investire 20 miliardi di euro negli stabilimenti italiani. La stessa promessa era stata fatta in cambio della drastica riduzione dei diritti e delle libertà dei lavoratori accettata dagli altri sindacati prima a Pomigliano, poi a Mirafiori, poi alla Bertone e, infine, estesa a tutto il Gruppo Fiat. Secondo me, chi ha firmato e sostenuto quegli accordi in cambio degli investimenti in Italia oggi dovrebbe riflettere sulle proprie scelte.
Non appare quindi una grande novità quella annunciata da Marchionne. La domanda è: "Chi doveva vigilare su quegli investimenti e sul futuro dell'unica casa automobilistica italiana?".
Proprio chi ora si stupisce non ha voluto ascoltare l'allarme lanciato più volte dalla Fiom-Cgil. Purtroppo i segnali c'erano tutti, e chi non li ha visti ha scelto di non farlo. La Fiat ha tentato di cancellare la Fiom e i suoi iscritti dalle fabbriche perché non hanno creduto alle parole di Marchionne e per aver contrastato in tutti i modi la riduzione dei diritti e delle libertà individuali sancite dal contratto nazionale, dalle leggi e dalla Costituzione del nostro Paese.
Il piano Fabbrica Italia è sempre rimasto un segreto, la Fiat ha detto in ogni occasione che non intendeva discuterlo con nessuno. Oggi sembra sia stato solo una grande bugia, un modo per prendere tempo mentre l'azienda riduceva la sua presenza in Italia, a partire dalla chiusura degli stabilimenti di Termini Imerese, della Cnh di Imola e della Irisbus di Avellino. Non solo, si sono ridotte drasticamente anche le quote di mercato in Europa. C'è la crisi certo, ma la Fiat ha perso molto più di tutti gli altri produttori di automobili, i quali hanno, in questi anni, a differenza della Fiat, continuato ad investire e a lanciare nuovi modelli. Il silenzio del governo Berlusconi prima, di quello Monti poi ha consentito questa situazione.
Il governo deve garantire le libertà sindacali e la democrazia nel gruppo Fiat e deve pretendere un piano di investimenti credibile già da ora. Serve un impegno straordinario per non perdere un intero settore industriale del nostro Paese. E non parlo di allungare gli ammortizzatori sociali, ma di usare la capacità degli operai di fare le automobili. Non possono continuare a pagare l'assenza di innovazione e ricerca della Fiat, mentre gli azionisti si spartiscono i dividendi. Sarebbe inoltre utile favorire l'ingresso di altri produttori di automobili in Italia. Il monopolio della Fiat ha prodotto solo danni.