di Federico Tulli
Parte dal basso la crisi economica in Italia e colpisce i lavoratori più indifesi. Insieme ai giovani, come hanno dimostrato di recente i dati Istat (un under 30 su tre è senza lavoro), sono infatti gli stranieri residenti a ingrossare in maniera spropositata le file dei disoccupati/inoccupati. Disoccupazione che in soli tre anni dal 2008 al 2011 è cresciuta del 50 per cento. Questo dato inquietante non è che uno dei tanti che emergono dall'ultimo studio sul tema elaborato dalla Fondazione Leone Moressa. In Italia, si legge nel documento, nel 2011 si contano 2,2 milioni di occupati stranieri, il 9,8 per cento di tutti i lavoratori. La nazionalità più rappresentata è quella romena con oltre mezzo milione di soggetti, un quarto di tutta la manodopera straniera. Seguono gli albanesi (232 mila), i marocchini (147 mila) e gli ucraini (132 mila). A fronte di questi 2,2 milioni, 310 mila stranieri sono disoccupati, vale a dire il 12,1 per cento di tutta la popolazione lavorativa straniera.
Gli esperti della Fondazione notano che la crisi ha fatto aumentare il livello della disoccupazione maggiormente tra la popolazione straniera rispetto a quella italiana (under 30 esclusi) che si aggira intorno all'11 per cento (era il 9.4 un paio di anni fa). Nel 2011, il tasso di disoccupazione straniero mostra valori più elevati al Nord (17,4 per cento in Piemonte e Val d'Aosta, 11,5 per cento in Lombardia) rispetto alle aree meridionali ( 8,1 per cento in Campania, 9,4 in Calabria). Dall'inizio della crisi ad oggi, i nuovi disoccupati stranieri sono 148 mila e rappresentano un terzo della nuova disoccupazione in Italia. Incidenze più elevate dei disoccupati stranieri si rilevano in Liguria (88,2 per cento), Sicilia (62,2 per cento) e Umbria (55,5 per cento).
Gli stranieri sono in genere occupati in lavori manuali, come dimostra il fatto che più della metà degli uomini (54,0 per cento) e oltre i tre quarti delle donne (77,5 per cento) ricoprono mansioni dalla bassa qualifica. Tra gli uomini, le professioni più diffuse sono legate all'ambito delle costruzioni (15,7 per cento), quindi muratori, carpentieri e ponteggiatori, a seguire facchini, magazzinieri e addetti alle consegne (5,4 per cento) e esercenti o addetti nelle attività di ristorazione (5,3 per cento). La metà delle donne è impegnata in lavori di cura o di assistenza, di cui il 30,6 per cento non richiede nessuna qualifica. L'8,2 per cento delle donne è occupato come esercente o addetto alle attività di ristorazione e il 7,2 per cento nelle pulizie come personale non qualificato.
In generale gli stranieri provenienti da alcuni Paesi dell'est Europa (come rumeni, albanesi) sono occupati in prevalenza nel settore delle costruzioni, mentre altri cittadini dell'Europa nord orientale (come ucraini, moldavi, polacchi) mostrano delle specializzazioni maggiori nei settori dei servizi alla persona e domiciliari, siano esse professioni qualificate e non. Anche per i filippini, gli indiani o altri provenienti dall'America Latina (come peruviani o ecuadoregni) l'assistenza alla persona è la professione più ricoperta. Se si osserva per ciascuna etnia la concentrazione per le prime 3 professioni più ricoperte, si scopre come vi siano delle vere e proprie specializzazioni professionali: per gli ucraini o per i filippini, rispettivamente, il 68,0 per cento e il 77,4 per cento di tutti i lavoratori di quelle nazionalità sono concentrati nelle prime 3 professioni che, in questo caso, consistono nei servizi domestici o alla persona: addirittura il 63,4 per cento degli occupati filippini ricopre una professione non qualificata nei servizi domestici.
Al di là del fatto che i dati sulla disoccupazione e soprattutto gli andamenti dal 2008 al 2011 mostrino come la crisi abbia ingrossato anche le fila dei disoccupati stranieri, c'è da dire che proprio i lavoratori stranieri sembrano mostrare una maggiore resistenza al momento negativo. «Gli stranieri che riescono a fronteggiare la crisi - si legge nello studio - lo fanno in virtù delle nicchie professionali in cui ormai sembrano essersi stabilizzati e su cui si concentrano in base a genere e nazionalità. Costoro infatti soddisfano sia la domanda di lavoro a cui ancora pochi italiani rispondono, sia le esigenze delle famiglie italiane che non trovano nel welfare adeguati servizi di cura e di assistenza alla persona».