Bruno Steri

Attorno alla giornata romana del 15 ottobre scorso molti conti non tornano. Innanzitutto, quelli che concernono la titolarità politica della più grande manifestazione nazionale, tra le tante svoltesi nel mondo, la cui piattaforma ha mosso una denuncia del tutto inequivoca: "Noi" non vogliamo pagare la "Vostra" crisi, "Noi" non vogliamo pagare il "Vostro" debito. Una denuncia gridata da una consistente fetta di popolazione mondiale, che pone sul banco degli imputati un intero sistema economico e le politiche da esso ispirate, tese alla salvaguardia dei privilegi di status e di ricchezza di una ristretta cerchia di ricchi e potenti («il 99% contro l'1%», come per primo aveva esemplificato il premio Nobel, Joseph Stiglitz). Una denuncia di massa che mette direttamente in questione il potere di un'oligarchia e l'iniquità sociale prodotta da questo modo di produzione. Questo essenziale contenuto politico è stato sopraffatto dalle sciagurate iniziative di una piccolissima parte dell'immenso corteo romano, assecondate dall'irresponsabile comportamento di chi dovrebbe sovrintendere alla gestione dell'ordine pubblico («Incomprensibile», come hanno ammesso alcuni poliziotti su domanda di alcuni giornalisti).

Quel contenuto politico è stato successivamente oscurato da tutti i commenti mediatici, televisivi e della grande stampa. Missione compiuta: quelli che avevano tutto l'interesse ad un'espropriazione indebita di questa grande giornata di lotta hanno potuto cantare vittoria.
Era sin troppo facile prevedere che un tale eclatante stravolgimento delle priorità avrebbe immediatamente spianato la strada al tentativo di imprimere una più generale stretta repressiva, diretta contro chiunque intenda in questo Paese non abbassare il capo ed esprimere concretamente la propria opposizione. E' stridente (e alquanto sospetto) il contrasto tra l'incapacità di prevenzione e gestione della piazza messa in mostra sabato scorso e la ferrea determinazione con cui oggi si vuole impedire alle lavoratrici e ai lavoratori della Fiom di manifestare per i propri sacrosanti diritti. Né stupisce più di tanto la tempestività con cui il sindaco di Roma, appassionato di croci celtiche, ha ordinato per un mese una sorta di coprifuoco in nome della sicurezza e dell'ordine pubblico.
Ma, soprattutto, non riesce a sorprenderci - trattandosi di un copione abbondantemente sperimentato nei decenni passati - la puntuale proposta di irrigidimento della normativa sull'ordine pubblico, addirittura di riesumazione della legge speciale sul terrorismo (legge Reale 2): che a proporla, assieme al ministro dell'Interno, sia Antonio Di Pietro è problema che lasciamo alla riflessione interna all'Idv. Per quel che ci riguarda, il monito è trasparente: le classi subalterne dovranno disporsi ad ingoiare tutto quello che c'è da ingoiare; siamo pronti a tradurre la spinta delle rivendicazioni sociali in questione di sicurezza. Chi ragiona in questo modo deve tuttavia sapere che la forza dimostrata da questo grande movimento di contestazione dell'esistente non è destinata a rifluire, né sarà dispersa. Bene hanno fatto quindi i responsabili delle forze politiche, sociali e di movimento, protagoniste attive nella preparazione del corteo, a ribadire questo punto: la mobilitazione, l'approfondimento dell'analisi di fase e l'ulteriore discussione dei contenuti di lotta proseguiranno, trovando sedi opportune di confronto democratico e partecipato. Non permetteremo che i contenuti del 15 ottobre siano derubricati e sostituiti da bollettini di ordine pubblico e leggi di emergenza.
Alla luce di tali sviluppi, a maggior ragione non tornano i conti di chi ci è amico e chi no. Ovviamente, la posizione di coloro che hanno rilasciato dichiarazioni tendenti a criminalizzare l'intera manifestazione del 15 è del tutto chiara. Vi è tuttavia un altro e direi più ambiguo atteggiamento. All'indomani del 15 ottobre, speaker televisivi, giornalisti, donne e uomini politici di destra e di sinistra hanno fatto a gara a dichiararsi solidali con la "parte buona" del corteo. Fatti fuori i "cattivi", per il resto sembra che siamo tutti dalla stessa parte, persone di buona volontà. Non è così. Nella sua stragrande maggioranza, quel corteo appartiene a coloro che l'hanno promosso, che ne hanno democraticamente condiviso gli obiettivi politici e il discrimine che esso ha posto nei confronti di quanti sono responsabili della macelleria sociale in atto e di quella che ancora si annuncia. Non basta commiserare questi poveri giovani (e meno giovani), vessati dalla crisi: bisogna esplicitare come e se si sta dalla parte dei loro interessi materiali e morali, dire ad esempio se si sta o meno con questa Europa oligarchica, con la sua ispirazione neoliberista, le sue politiche "di austerità" e i suoi diktat "lacrime e sangue". Se si ha intenzione di contrapporvisi per provare a cambiarne radicalmente la ragione sociale.
E' significativo che anche dalle più alte cariche istituzionali planetarie siano provenuti attestati di solidarietà con i manifestanti del 15 ottobre. In tutta evidenza, ciò significa che le urgenze, i temi espressi da questa giornata di lotta entrano in sintonia con il sentire di vasti strati di cittadini, che è difficile smentire quello che - nel contesto di una crisi di sistema che non accenna ad arretrare - sta diventando una percezione dilagante, un senso comune fondato sulla drammatica realtà delle cose. Prendiamo atto di ciò. Aggiungiamo però che tali autorevolissime espressioni di solidarietà sarebbero risultate ben più credibili se ad esempio Obama avesse, dal 2008 ad oggi, tradotto le parole in fatti e reso operativa anche una sola norma di contrasto al potere del sistema finanziario (oggi divenuto perfino più potente di quanto già non fosse ieri); o se Mario Draghi, da responsabile del Financial Stability Board, avesse introdotto anche un solo concreto provvedimento per limitare le incursioni della tanto - a parole - deprecata speculazione. Draghi è riuscito solo a co-firmare la ormai famigerata lettera della Bce, a giusto titolo oggetto delle proteste dei manifestanti. Sulle cose, non solo sulle parole, va verificata la distribuzione delle responsabilità politiche.
Infine, occorre far tornare qualche conto anche tra di noi. Un corteo, essendo l'esplicazione operativa di un'idea collettiva, di una critica di gruppo, è eminentemente un atto politico. Non è dunque né una mera questione di ordine pubblico, né una mera espressione di "rabbia sociale". Tanto meno la "rabbia sociale" può essere intesa di per sé (dunque, in ogni caso e quali che siano le sue modalità di esplicazione) come un valore progressivo, essendo in quanto tale priva di connotazione politica. Per questo, deve essere unanime la condanna dei deprecabili esiti della giornata di sabato. Per questo, sul piano pratico, la lezione del 15 ottobre è assolutamente stringente. I cortei, se e quando si fanno, devono dare il risultato organizzativo e politico che sono chiamati a dare e per cui li si prepara. Non può più accadere che 500 mila persone siano espropriate da improvvide iniziative oltre che da infiltrazioni esterne. La risposta operativa non deve essere la militarizzazione dei cortei ma la cura dell'autodifesa, la tutela di chi intende essere parte di una protesta civile e democratica: che non possono essere lasciate al caso e alla spontaneità dei singoli partecipanti, né possono essere di competenza degli agenti di polizia. Come partito, siamo stati e dovremo essere attenti a tutto questo: nel rispetto dell'autonomia dei movimenti ma, contestualmente, consapevoli delle responsabilità che attengono ad un'organizzazione politica comunista.

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