di Norma Rangeri
«Sono certo che il prefetto De Gennaro, nel suo nuovo incarico istituzionale, potrà efficacemente portare avanti il suo impegno...», così Massimo D'Alema, l'11 maggio, salutava la nomina a sottosegretario del governo Monti dell'uomo che ai tempi del massacro alla Diaz era il capo della polizia. La stessa persona che nelle motivazioni della Corte di Cassazione interpreta il ruolo del fantasma del palcoscenico, l'ispiratore di una repressione disumana, segnata da efferatezze che ancora oggi si fatica a leggere nei particolari descritti dai giudici. Quel poliziotto d'Italia che non volle fermare le squadracce spinte, invece, a emulare un clima cileno, nel cuore dell'Europa, quando l'Italia berlusconiana sospese la democrazia con il sangue di ragazzi inermi. Lo stesso uomo che la Cassazione ritiene responsabile di aver sollecitato il meccanismo della pura violenza nel tentativo di riscattare l'onore perduto di una polizia che non aveva saputo vigilare sull'ordine pubblico nei giorni del G8.
Il comando di procedere ad arresti indiscriminati avrebbe prevalso sull'obbligo di osservare leggi e diritti.
Il cinismo del responsabile del Copasir appare oggi tanto più imbarazzante di fronte al pesante giudizio pronunciato dall'alta magistratura. E se D'Alema perse allora un'occasione per tacere, tuttavia le sue parole di encomio per De Gennaro si rivelano lo specchio perfetto dell'inverosimile silenzio della politica. La controprova del mutismo colpevole del Pd, il partito che si propone agli italiani come niente di meno che il baluardo della tenuta democratica.
Il segretario del Pd è intensamente impegnato negli affari interni del partito, preso dalle ingarbugliate vicende della campagna elettorale delle primarie. Non ha tempo da perdere, neppure una parola da spendere per sottolineare l'enormità della permanenza in uffici di governo del primo responsabile politico dei fatti di Genova. Il suo silenzio è il segno, un altro, della mancanza di una leadership affidabile, anche solo dal punto di vista della difesa della democrazia.
Tace Bersani e tace Monti, ciascuno testimone dell'ipocrita diatriba tra politici e tecnici. E, silenzio per silenzio, tanto vale tenersi Monti che almeno non si appende sul petto la medaglia di uomo di sinistra.
Solo Paolo Ferrero, solo il radicale Marco Perduca, solo l'allora portavoce del social Forum, Vittorio Agnoletto, hanno chiesto in queste ore le dimissioni di De Gennaro. Poche voci fuori dal coro a cui naturalmente aggiungiamo anche la nostra.
PS: A Bersani e a Monti fa compagnia un terzo silenziatore: il Corriere della Sera. In prima pagina nessuna notizia sulle motivazioni della Cassazione.
Il Manifesto - 04.10.12