di Alfonso Gianni
Sabato 13 ottobre comincia la raccolta delle firme, ce ne vogliono almeno cinquecentomila nel giro di tre mesi, per i referendum relativi all'abrogazione dell'articolo 8 della legge 14 settembre 2011 n°148 risalente al governo Berlusconi e delle modificazioni introdotte dal governo Monti all'articolo 18 dello Statuto dei diritti dei Lavoratori.
L'articolo 8 permette di derogare dai contratti nazionali di lavoro tramite accordi sindacali raggiunti in sede aziendale anche solo da alcuni sindacati. In virtù di quell'articolo la Fiom è stata esclusa dalla stessa agibilità sindacale entro la Fiat. Una condizione addirittura peggiore dei bui anni cinquanta.
Con le modificazioni introdotte all'articolo 18 è stato spazzato via il principio di reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Tutto viene monetizzato. La figura del giudice che dovrebbe tutelare un diritto costituzionale come quello al lavoro viene ridotta alla stregua di una funzione notarile.
I dati che ci sono stati forniti in queste settimane dall'Istat, dal Cnel, dalla Svimez dimostrano che tali novità introdotte nella nostra legislazione non hanno minimamente favorito lo sviluppo di nuova occupazione. La propaganda governativa è stata smentita dai fatti.
Contemporaneamente leggiamo su un paper dell'Ufficio Studi della Banca d'Italia che anche negli Usa studiosi di vaglia avvertono che la facilità dei licenziamenti e le moltiplicazione delle forme e dei modi del lavoro precario non solo non aiutano la produzione, ma neppure la produttività e la competitività del grande paese americano.
Il significato di questa battaglia è chiaro. Si tratta di ristabilire il principio della democrazia sindacale, della libertà e della efficacia della rappresentanza del mondo del lavoro, del diritto al lavoro, della piena dignità della lavoratrice e del lavoratore. Si tratta di riportare al centro del dibattito e dello scontro politico e sociali una questione fin troppo oscurata: quella del lavoro, dei diritti e dei doveri che esso comporta.
La convocazione di questi referendum non ha avuto una vita facile. Le forze parlamentari che hanno approvato le modificazioni liquidatorie dell'articolo 18 hanno tentato in ogni modo di bloccare l'iniziativa, ricorrendo anche al falso argomento della impossibilità della consegna delle firme durante l'anno in cui sono convocate le elezioni politiche. Argomento che non sta in piedi sulla base di una lettura attenta dell'articolo 31 delle legge istitutiva del referendum e di pronunciamenti precedenti della Corte in casi analoghi.
Ora si propone un altro argomento. Quello secondo cui sarebbe meglio trovare una soluzione legislativa anziché giungere alla celebrazione del referendum che comunque non potrà avvenire prima del 2014. Un referendum può essere evitato solo se intercorrono nuove leggi che vanno nella direzione voluta dal comitato promotore e dal senso stesso dei quesiti referendari.
Ma è lecito dubitare di questa condizione, dal momento che importanti forze che comporranno probabilmente la prossima maggioranza, come il Partito democratico, hanno dichiarato il loro pieno accordo almeno per quanto riguarda la liquidazione sostanziale dell'articolo 18. Tali argomentazioni appaiono perciò un diversivo. Ciò che conta ora è porre tutti davanti a un fatto compiuto, cioè la raccolta delle firme necessarie per innescare il cammino referendario.