di Luca Sappino
Quando sono stati presentati i quesiti, lo scorso 11 settembre, bisogna dirlo, la foto non era delle più belle. E non perché la politica non dovesse esserci, in quella foto, anzi. Erano però giorni di polemica, di primarie e coalizioni, e così anche quel momento fu trascinato nel quotidiano dibattito sul centrosinistra. Di Pietro, Vendola, Ferrero, Diliberto, Bonelli e pure Gian Paolo Patta, ex sottosegretario del governo Prodi, ritratti tutti insieme, furono un boccone troppo gustoso per i più polemici sostenitori della continuità montiana. È innegabile che, la presentazione dei quesiti referendari sul lavoro, rappresenti anche una mossa centrale nella partita a scacchi condotta dai partiti della sinistra largamente intesa. I due quesiti abrogativi sulla modifica dell’art.18 dello statuto dei lavoratori e sull’art. 8 dell’ultima finanziaria del governo Berlusconi, sono l’unico concreto punto di rottura, offerto ad oggi dall’opposizione al governo dei tecnici, utile per mettere in discussione la continuità e il rapporto con l’agenda Monti. Ma non solo.
In ballo ci sono diritti molto precisi, che non risolvono tutte le questioni aperte, legate alle leggi e alle normative sul lavoro, ma che si pongono da freno a quello che i promotori hanno definito come il frutto di un «livore antisindacale». «I quesiti – dice il professor Alleva, punta del comitato pro- motore – sono la risposta a due attacchi paralleli, perché il primo fu attuato dal governo Berlusconi e il secondo dal governo tecnico, che però si muovono dalla stessa matrice liberista».
Due quesiti, dunque, per due diversi articoli. Il referendum sull’art. 18 interviene sulla rifor-ma siglata dal ministro Fornero. Il governo ha cancellato la norma che imponeva il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo a fronte di una sentenza del giudice favorevole al lavoratore. Il comitato promotore parla di una «manomissione in piena regola» del principio guida dell’art. 18. «Il governo – si legge nella comunicazione che accom-pagnava i quesiti al momento della presentazione in Cassazione – ha agito con forte iniquità sul tema cruciale del mercato del lavoro, scegliendo di aggredire i diritti, le conquiste storiche del movimento operaio e il sistema di protezione sociale pubblico». Ovviamente, secondo il governo, come ripete sempre il ministro Fornero, «per combattere gli effetti della crisi». Mentre si registrano i primi casi di licenziamenti, che usano la leva delle ragioni economiche o organizzative, chi è più scettico sui referendum si chiede cosa dovrebbe spingere un giovane precario a firmare e poi votare un quesito su un articolo che non lo riguarda. «Ai giovani e precari – risponde Veronica Albertini, del comitato promotore – dobbiamo spiegare che in ballo c’è anche il loro, il nostro, futuro. Lottiamo per evitare che, usciti dalla precarietà, ci si ritrovi immersi in altra precarietà».
Poi c’è l’art.8. Nell’agosto del 2011, all’interno della manovra economica, Tremonti e Sacconi, con quella che sembrò a molti una modifica ad aziendam per la Fiat, demandarono agli accordi aziendali materie centrali per l’organizzazione del lavoro, come la classificazione e l’inquadramento del personale, le mansioni, l’orario di lavoro, i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, il regime della solidarietà negli appalti o il ricorso alla somministrazione di lavoro. «Con le modifiche introdotte dal governo Berlusconi – dice sempre il professor Alleva – ogni azienda in Italia, teoricamente, potrebbe avere il suo diritto del lavoro. E capite bene cosa può accadere se, in queste aziende, dovessero esserci uno o più sindacati complici». Ogni riferimento alla Fiat è puramente casuale.
Da domani, sabato 13, parte ufficialmente la raccolta firme. Centinaia sono i banchetti organizzati. L’obiettivo è doppiare la soglia delle 500mila firme. «Per riprenderci i diritti», dicono dal comitato promotore. Ma non solo. Anche per spostare a sinistra ogni eventuale coalizione di governo. Per i referendum, infatti, si voterebbe con il nuovo parlamento. Un milione di firme potrebbero indurre il prossimo governo a fare tutto da solo, anticipando l’esito del voto. E sarebbe una buona notizia.
Pubblico, 12 settembre 2012