di Franco Frediani
Si parla addirittura di seconda Tangentopoli. I casi del Lazio, della Lombardia, della Sicilia e di altri episodi che sono saltati alla ribalta della cronaca, non sono che la punta di un iceberg che affonda le radici in un sistema che favorisce, dalla notte dei tempi, il proliferare di queste "pratiche". Il Guardasigilli, Paola Severino, sottolinea che "si impone oggi la necessità di essere molto attenti e di combattere con tutta la forza possibile un fenomeno dilagante". Annuncia la ferma volontà di mettere in pratica quanto prima il ddl anticorruzione, che comunque andrà in aula martedì. Si tratta davvero di un "fenomeno dilagante", o di qualcosa che ci portiamo dietro da una vita? Non è una domanda tendenziosa quanto semmai l'invito ad approfondire una sorta di analisi storica che potrebbe veramente cambiare l'approccio alla questione.
Ben venga intanto il ddl che sicuramente servirà per non candidare persone che abbiano subito condanne, ma la domanda è ben altra: come, e che cosa, può invertire un malcostume che ha origini lontane, che affonda nei tempi della prima Repubblica e forse, addirittura nasce con essa? Potremo ricorrere alle alchimie più complesse senza ottenere più di tanto.
Quello che sorprende, e neppure poco, è quel falso stupore, quell'ipocrisia neppure tanto mascherata, circa la presenza di intrecci e legami che più di una volta si instaurano tra la grande criminalità e la politica, sia pur attraverso singoli soggetti. Crediamo sia ovviamente sbagliato, come si suol dire, fare di tutta l'erba un fascio, ma è altrettanto vero che troviamo riduttivo parlare sempre o solo di "mele marce", avulse dai contesti nei quali si trovano. Il sistema partitico deve cambiare regole se vuol mantenere l'importanza fondamentale che ha nella Nostra democrazia.
La corruzione è sempre esistita, e chi vuole combatterla non può non cercare di dissodare il terreno per gettare semi nuovi che portino ad un raccolto altrettanto nuovo e prosperoso. Occorre eliminare prima di ogni altra cosa i fattori di rischio. Per prima cosa dovrebbero essere gli stessi partiti a esigere di essere salvaguardati attraverso l'obbligo della divulgazione pubblica dei loro bilanci, in modo da rendere trasparente ogni forma di finanziamento, ovviamente anche in rapporto alle entrate dei loro iscritti e/o attivisti.
Il principio (o criterio) della trasparenza, dovrebbe rappresentare il principale strumento adottabile anche per l'eventuale candidato. Sarebbe tanto difficile costituire una sorta di banca dati dello stesso candidato (che spazi dalla situazione economico-patrimoniale a quella sociale) da rendere oggetto di controllo, in tutte le sue fasi, pre e post mandato, da parte di una apposita Autority?
Su questo c'è comunque una serie di proposte da parte dello stesso governo, con il ministro della Funzione pubblica, Patroni Griffi, che ha ripreso il tema del "commissario anticorruzione": "Abbiamo già una commissione per la trasparenza e l'integrità alla quale abbiamo aggiunto un altro componente che assumerà la posizione di Presidente: è una soluzione razionale ed efficace".
Tornando comunque alle dichiarazioni del ministro Severino, non possiamo che rimanere sconcertati quando, riguardo al caso della Giunta Regionale lombarda, mostra tutto il suo stupore affermando che l'intera vicenda colpisce un'area del Paese "nella quale si riteneva che non vi fosse frequentazione tra politici e personaggi legati alla grande criminalità".
Ci sembra davvero di assistere al cartone animato della "Bella addormentata nel bosco"; come se i politici collusi con le cosche mafiose si trovassero solo al Sud!