121016rinaldinidi Gianni Rinaldini
Sono interessato alla costruzione di un nuovo spazio politico come luogo di confronto e di approfondimento sulle pratiche di movimento, sulla lettura dei  processi in atto e sulle scelte da compiere per contrastare e cambiare  profondamente il segno sociale, culturale e politico dell’attuale deriva.  Attraversiamo tempi cupi e difficili, riassumibili nel precipitare della crisi  della democrazia, di quell’impasto di rabbia, rassegnazione e impotenza, che  con il crescere del disagio sociale e delle disuguaglianze sociali, può  costituire la condizione materiale per gli sbocchi più imprevedibili e  pericolosi.  Dalla lettura del documento preparatorio di questa assemblea costituente sono  rimasto perplesso per lo scarto evidente tra l’analisi innovativa sul come  stare insieme in questo nuovo spazio pubblico ed il precipitare nella  enunciazione finale di un nuovo soggetto politico che evoca in qualche modo la  scelta di una nuova formazione politica che si aggiunge a quelle esistenti.

Una  scelta che sarebbe ovviamente legittima e comprensibile, di cui per altro, mi  sembrano oscuri i caratteri fondamentali.  L’introduzione di Marco Revelli mi ha permesso di capire meglio il senso della  proposta anche nella definizione dell’ambito della ricerca comune che ci viene  proposta a partire da due punti fondamentali: la pregiudiziale antiliberista e  la centralità del lavoro. Su questo voglio esprimere alcune osservazioni  proprio perché interessato a questo confronto. Ci troviamo a fare i conti con  un processo di assoluta radicalità che utilizza la crisi per portare a  compimento lo stesso modello sociale, culturale, istituzionale e politico che  ci ha portato a questa situazione devastante in tutti i Paesi di vecchia  industrializzazione.Il modello in cui il liberismo, il mercato e la  competitività assunti come valori assoluti a cui rendere funzionali tutti gli  aspetti della società. Nella sua espressione storica il capitalismo finanziario  non contempla la democrazia come partecipazione attiva delle persone, non  contempla il conflitto sociale capitale-lavoro, come dinamica sociale  democratica.  La riduzione degli spazi democratici riguarda l’insieme della società, e  affonda le proprie radici nella negazione del conflitto capitale-lavoro,  considerato estinto con la storia del ’900. Non si tratta di un arretramento in  attesa di tempi migliori, ma di una intensa attività legislativa e contrattuale  che nega la stessa possibilità di espressione democratica della soggettività  organizzata del lavoro subordinato. La condizione lavorativa viene ricondotta a  una pura dimensione di merce che in quanto tale non ha voce, è intercambiabile,  uno dei fattori della produzione. Le lavoratrici e i lavoratori non possono  decidere e votare i loro Contratti Nazionali come se questi fossero proprietà  del Parlamento e delle Organizzazioni Sindacali.Non si tratta di riproporre il  passato in una situazione profondamente cambiata, ma di pensare ad una  ricostruzione della democrazia e della partecipazione che affondi le proprie  radici nei luoghi lavorativi, nel territorio e nella società.  Il voto delle ultime amministrative e il voto referendario ci indicano la  possibilità di un percorso da sviluppare, senza caricarlo di una valenza  generale di un voto contro il neoliberismo. Il rapporto positivo tra sistema  partecipativo e conflitto sociale deve essere l’asse centrale del nostro  operare, perché ne qualifica il suo significato di trasformazione di  alternativa di carattere generale.  Secondo aspetto è quello relativo ai beni comuni che vengono sottratti ad una  logica di mercato. La definizione di beni comuni, mi pare ancora indeterminata  e credo sia ardua una definizione precisa. Nello stesso tempo c’è il rischio  che tutto venga considerato bene comune, fino ad arrivare al paradossale uso  propagandistico da parte di alcune forze politiche. Per questo ritengo sia  necessario un approfondimento anche in termini di analisi del rapporto tra beni  comuni e intervento pubblico, tra beni comuni e diritti sociali. Questo ci  viene imposto dai processi di smantellamento in atto del welfare, che a ben  vedere è molto più avanzato di quanto generalmente si pensa. Una dinamica  sociale dove la riduzione dell’universalità dei diritti sociali (sanità –  previdenza – istruzione), viene accompagnata da una progressiva  corporativizzazione della società che aumenterà tutte le disuguaglianze sociali  e le fasce di povertà. Il nuovo sistema previdenziale, totalmente su base  contributiva, elimina qualsiasi elemento di solidarietà generale e obbliga di  fatto le lavoratrici ed i lavoratori a versare una mensilità annua (T.F.R. –  Trattamento di Fine Rapporto), ai Fondi Previdenziali per sperare, nel migliore  dei casi, in una pensione decente.Nella sanità sono in forte aumento accordi  aziendali e nazionali di categoria che sotto la dizione welfare contrattuale,  utilizzano una parte della retribuzione per costruire fondi sanitari aziendali  e/o di categoria.Non è diversa la situazione per quanto riguarda il diritto  allo studio e alla Università che diventa difficilmente accessibile per i  giovani di famiglia con reddito medio-basso. Non si tratta di demonizzare, ma  di avere coscienza di ciò che sta avvenendo sul piano dei diritti sociali  universali.Siamo al trasferimento in Europa della struttura delle relazioni  sociali e del rapporto cittadini-istituzioni dei Paesi Anglosassoni ed in  particolare degli Stati Uniti.  Beni comuni – intervento pubblico – diritti sociali non possono essere confusi  in un insieme indistinto, anche perché diverse sono le pratiche di movimento da  costruire. Sulla base di queste brevi considerazioni, mi pare evidente l’ interesse a partecipare alle ulteriori fasi di confronto che proponete.

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