di Maria Grazia Gerina
«Ci mancava solo che togliessero ai disabili i sostegni previsti dalla legge 104: senza quel paracadute contro la povertà anche loro o almeno tantissimi di loro si sarebbero ritrovati in fila davanti ai nostri centri», sbotta, pensando al dibattito in corso sulla legge di stabilità, Walter Nanni, che ha appena consegnato alle stampe l’ultimo Rapporto Caritas sulla povertà. Una fotografia sempre più drammatica
dell ’Italia davanti alla crisi. In coda per un pasto caldo o per una busta della spesa con dentro cibo, vestiti, beni di prima necessità. Come un tempo capitava solo ai senza dimora o agli immigrati appena arrivati nel nostro paese.
Adesso invece davanti alle mense o ai centri dove distribuiscono vestiti e pacchi di pasta ci trovi le casalinghe, i pensionati che hanno dato fondo ai loro risparmi per aiutare figli e nipoti e ormai non ce la fanno più a tirare avanti. Gli immigrati restano la maggioranza: il 70% contro il 30% di italiani (dato, appunto, in costante aumento negli ultimi anni). Ma anche qui: mentre in passato la Caritas era il primo approdo adesso è anche un rifugio per quelli (sempre di più) che non ce l’hanno fatta e allora, dopo quattro o cinque anni, ritornano alla casella di partenza. Magari con moglie e figli. Da anni ormai, la rete delle mense, delle parrocchie, dei centri di primo aiuto funge da vero e proprio ammortizzatore sociale, che soccorre
come può quelli che lo Stato non ha mai aiutato o non aiuta più. È così? Siete diventati il surrogato dello Stato sociale che non c’è? In realtà, uno Stato sociale, antico, ricco di esperienze positive, ci sarebbe ancora: ma sono almeno dodici anni che lo stanno smantellando. E non solo perché è stato svuotato di risorse il fondo sociale nazionale, praticamente azzerato quello per il contributo all’affitto ed eroso quello per le persone non autosufficienti. Ma anche perché c’è stata una incapacità di gestire il quadro generale. Nel 2000, con la legge 328, che inquadrava in un’unica cornice tutti i servizi sociali erano state gettate le basi di un lavoro che poi non è mai proseguito. Non possiamo continuare così.
Così come?
Ad adottare di volta in volta misure più o meno di emergenza che vanno incontro ai bisogni di questa o quella categoria e lasciano fuori tutto il resto. Non si può continuare ad affrontare il problema come se ci fossero da una parte i minori, dall’altra le famiglie con tre figli, dall’altra ancora i disabili o gli anziani con più di 65 anni. In questo modo lasci semhanno perso il lavoro, che magari era una collaborazione occasionale. E in questo caso, devono aspettare l’anno solare successivo, prima che scatti l’indennità di disoccupazione. Il punto è che mancano misure di pronto intervento sociale per queste nuove povertà improvvise. Che riguardano anche gli anziani.
Sono molti gli anziani che si rivolgono alla Caritas?
Sì e sono in aumento. Pensavamo che la crisi avrebbe inciso meno drammaticamente su chi aveva una pensione. E invece non è così. Anche perché hanno dovuto dare fondo ai risparmi di una vita per aiutare figli, nipoti e ora non ce la fanno più nemmeno loro. Molti si vendono anche la casa, comprata con i risparmi di una vita.
Giovani, anziani... E casalinghe: nel rapporto si legge che sono il 177% in più dello scorso anno. Cosa c’è dietro questo dato?
Noi chiediamo di indicare quale è la condizione professionale di chi chiede aiuto. Ma le donne che si rivolgono a noi magari lo fanno per il figlio o per il marito. Sono le portavoce, l’interfaccia. Dietro questo dato, c’è la difficoltà crescente delle famiglie italiane davanti alla crisi. I casi di famiglie in difficoltà stanno aumentando in modo preoccupante. E non hanno altra scelta che rivolgersi a voi?
Ripeto, le misure di sostegno alle famiglie sono poche e molto confuse: c’è la carta per gli acquisti, il bonus libri, il bonus bebé, il bonus per la prima bolletta elettrica, etc., etc.. Ogni volta devi seguire una procedura burocratica diversa per fare domanda. È una vera giunga e le persone meno attrezzate culturalmente si trovano spiazzate. Mentre basterebbe stabilire che le persone in difficoltà economica hanno diritto a un sostegno economico complessivo. Si fa così in tutta Europa. Solo l’Italia e la Grecia non hanno individuato ancora una misura universalistica di sostengo. E questo
vorrà dire qualcosa...
Perché secondo lei?
C’è il timore che se dai 400 euro a una persona in difficoltà li spenda in modo sbagliato. Ma in Olanda per esempio questo non succede: ti danno 600 euro al mese, ma anche opportunità di formazione e di lavoro e se non le accetti ti tolgono l’in - dennità. Queste misure funzionano dove funzionano i controlli. E l’Italia sappiamo che anche su questo è carente. E allora preferisce tagliare...
Pubblico - 19.10.12