Intervista a Luciano Gallino di Daniela Preziosi
La suggestione di partenza, con Luciano Gallino, sociologo del lavoro, oggi non può essere che quel Sergio Marchionne «americanizzatore» delle relazioni industriali, amico in Italia e negli Stati uniti di governi di segno opposto. «L'uomo che ha salvato la Fiat attraverso Chrysler», spiega il professore, «l'avremmo voluto vedere salvare i posti di lavoro in Italia, e poi fare buoni affari in Brasile, Turchia o negli Usa». Il marchionnismo è un tratto di quella che il professore definisce «cattura cognitiva» della politica dei nostri anni: ha dilagato anche a sinistra, ed è tuttora presente nel centrosinistra che si presenta alle primarie.
Gallino, con il sociologo Revelli e l'ex magistrato Pepino, è fra i promotori della campagna «cambiare si può» che propone liste «arancioni» alle politiche 2013.
C'è uno spazio elettorale fra le primarie, Grillo e il non voto?
Penso di sì. Girano umori e idee che non hanno punti di consenso se non nella protesta, nel dire «mandiamoli a casa tutti». Ma negli incontri, nelle conferenze, parlando con militanti anche del Pd ho l'impressione che gli elettori siano meglio di quelli che li rappresentano. Ma bisogna offrir loro un'idea di paese diverso. Certo, senza farsi l'illusione di richiamare fiumi di elettori.
Fiumi che si dirigono verso le liste di Grillo. Che però ha un know how mediatico furbo, dalle traversate a nuoto al divieto di andare in tv. Come pensate di fargli concorrenza?
Il nostro manifesto contiene idee, andranno in giro con la forza delle loro gambe. Nessuno di noi pensa di fare nuotate, neanche in un fiume. Avvieremo una discussione con altri mezzi. È un processo già partito. Si tratta di capire fino a che punto i decibel e i pixel abbiano la meglio sui ragionamenti. È la nostra scommessa. C'è ancora in giro gente che guarda alla sostanza.
Il grillismo è solo decibel e effetti speciali?
No, un po' di sostanza c'è. La polemica contro i partiti, l'insistenza su questioni locali, il no alle grandi opere, l'attenzione all'economia al di là dei titoli dei giornali. Se questi temi fossero proposti con voce normale capiremmo se la presa sugli elettori è per il tono o per quello che dicono.
Dall'altra parte, una fetta di sinistra si sta convincendo a partecipare alle primarie, non fosse che per battere Renzi, scongiurare il Monti-bis o l'alleanza con l'Udc.
Una vita fa ho partecipato alle primarie di Prodi. Una bella cosa. C'erano persone motivate, allegre, serie che pensavano di dire la loro sulla scelta del candidato premier. Queste attuali sono talmente complicate da essere scoraggianti.
Guardi che la pensa come Renzi.
La complicazione è un problema. Sarebbe stato meglio semplificare perché, volere o no, le primarie sono un fatto di partecipazione per dire la propria in un processo in cui non si riesce mai a dire niente.
Però la vostra campagna si colloca fuori dalle primarie. Lei si candiderà?
Assolutamente no, continuerò a fare il mio «oscuro» lavoro. Ma la speranza è che già a metà novembre e poi all'appuntamento di dicembre venga fuori una traccia di programma e una strada per individuare candidature, alleanze e contaminazioni. Altrimenti con la nostra modesta forza organizzativa non potremmo toccare numeri consistenti.
È l'osservazione che vi fa chi vi vuole bene. Lei è lo studioso che ha parlato della «cattura cognitiva» della politica da parte dell'ideologia dei mercati e della finanza. Come farete a combattere la battaglia per la liberazione da questa «cattura»?
C'è un grosso impegno culturale da assumere, ed è quello che faremo. Faccio un esempio: l'articolo 8 della legge Sacconi è una bomba nucleare sul diritto del lavoro. Permette di derogare a tutta la legislazione sul lavoro, e come altre leggi, è passato quasi senza opposizione. Ma paradossalmente permette di derogare anche alla legge Fornero: innescando una circuito dantesco. C'è un fatto culturale da ribadire contro gli infiniti peana per Marchionne e contro la «solitudine dei lavoratori» di cui ha scritto Giorgio Airaudo (responsabile auto Fiom, ndr): la centralità del lavoro nella Costituzione. L'articolo 4 dice che ogni cittadino ha diritto «al» lavoro. In quella preposizione c'è un dato sconvolgente: non parla del diritto del lavoro che si ha, ma il diritto «a» avere un lavoro. Invece in Italia da vent'anni si fabbrica precariato. Non si fa conversione, non si fanno progetti che possano creare nuovo lavoro. Sarebbe bello vedere messo in pratica qualche articolo della Costituzione.
Crede che il centrosinistra Pd-Sel sia «cognitivamente» catturato?
Se prima lo era al 90%, può darsi che adesso lo sia all'86. È possibile che ora sia scesa la percentuale.
Il Manifesto - 08.11.12