121029montidraghidi Roberto Musacchio
A più di venti anni dalla nascita della cosiddetta “ Seconda Repubblica “, un nuovo, virulento, scontro è in corso, sempre sulla legge elettorale. E ancora una volta i colpi feroci vengono scambiati  l’un contro l’altro sulla base di elementi tattici necessari a conquistare un posizionamento favorevole per le prossime elezioni. Se solo ci si fermasse un attimo a riflettere sui disastri compiuti fin qui, forse si potrebbe evitare di sommarne altri, sempre più irreversibili. Se il funzionamento della nostra democrazia è ai minimi storici ci sarà bene l’esigenza di interrogarsi su cosa sia successo. Le volte in cui si è cambiata la legge elettorale sono ormai numerosissime così come lo sono i referendum fatti, o proposti, per cambiarla.

Gli effetti? Anni di Berlusconismo simil presidenzialista intervallati da governi di simil centro sinistra incapaci e di rappresentanza e di riforme. Riforme “ federaliste “ abborracciate e naufragate nelle controriforme imposte dal dogma dell’austerità. Partiti ridotti a coalizioni intorno a persone e a comitati elettorali. Una disaffezione sempre più larga e divenuta tendenzialmente maggioritaria. Strappi formali e sostanziali alla Costituzione sempre più profondi e ripetuti.  
Ma è veramente impossibile provare a riflettere sul perché siamo a questo punto? Parrebbe di si. Infatti è già partita una nuova crociata che tende a spostare la ricerca dei mali del sistema fuori del sistema stesso e cioè versus la cosiddetta “ antipolitica “. Ma veramente è l’ “ antipolitica “ il male? E veramente sono, anche su scala europea, i “ populismi “ il nemico capitale della democrazia europea? Francamente a me non pare proprio. Prendiamo questi ultimi, i populismi europei, che pure allignano nel cuore malato di questa Europa. Ma, appunto, sono una infezione che procede da una malattia ben più mortale e che è quella si che sta rischiando di uccidere l’Europa.
E la malattia si chiama “ Tecnocrazia “, imposizione di un pensiero unico, e di una pratica feroce di governance, tesa, dichiaratamente, a liquidare il modello sociale europeo che è, esso si, il vero anticorpo che ha saputo combattere i mali terribili della storia del Vecchio Continente. Se guardiamo l’Europa per quello che è veramente, fuori dalle ricostruzioni pretestuose, non sono alle porte rischi insostenibili arrecati da forze, o governi, populisti. Lo sfascio della democrazia, nel profondo delle coscienze civili, avviene invece laddove la governance è più all’opera, a partire dalla Grecia.
E, tornando a noi, ma veramente è l’ ” antipolitica “ il problema della democrazia italiana? A pensare a quella che è la Politica, quella con la P maiuscola, nel nostro Paese viene proprio da sorridere se non da arrabbiarsi sul serio. Basta guardare a cosa è la Politica oggi, come provavo a riassumere all’inizio, e come ne parlano i giornali, per rispondersi con un poco più di sincerità. Ma se non si vuole limitarsi a constatare occorre anche provare a indicare qualche causa, e io mi ci proverò.
La prima che vedo è che nel dopo ’89 in Italia si è compiuta una operazione di mistificazione in cui si è provato a salvare la sostanza degli apparati dei vecchi partiti transitandoli in nuovi contenitori deprivati di radici e ragioni identitarie, ma anche di prospettive di trasformazione e di visioni di società e sostanzialmente vocati alla conquista degli spazi elettorali e di governo. In tal modo i partiti hanno strutturalmente rotto con le loro funzione costituzionali.
La seconda è che, appunto, si è posto ad unico fine della politica il governo. Intendiamoci, da sempre la politica ha una relazione con la questione del potere e in particolare i partiti comunisti hanno posto la sua conquista e il suo esercizio al centro della propria ragion d’essere. Ma quello che è mancato del tutto in questo ventennio è  una riflessione su gli elementi nuovi della quadrangolazione società, politica, governo, potere. Il primo è proprio il fallimento tragico proprio del potere comunista storicamente realizzato. Il secondo è che la politica che si andava deprivando della sua natura di confronto tra bisogni e modelli sociali diversi finiva col rovesciare il proprio rapporto col governo: non più strumento per il cambiamento ma al contrario fine in sé, con il di più che le pratiche connesse all’esigenza di conquistarlo finiscono col modificare i soggetti politici assai più di quanto i soggetti politici si pensino di modificare il governo e, attraverso di esso, la società. Terzo, nella società complessa si sono affermate le forze “ riduzionistiche “ che hanno accompagnato la modernizzazione reazionaria della globalizzazione liberista trasformando il governo sempre più in governance al servizio del pensiero unico e della teoria della impossibilità della alternativa.
Ne discende la conseguenza più pesante che è quella che rovescia il rapporto tra democrazia e governo per cui non è la democrazia che esprime il governo ma al contrario è il governo che condiziona la democrazia fino al punto di metterla in discussione se essa “ minaccia “ il governo stesso. Conseguenza che modifica geneticamente anche l’approccio e la natura dei corpi intermedi, come i partiti, che non hanno più al centro del proprio essere in relazione al governo ciò che attraverso di esso si può modificare in direzione delle proprie idee ma quanto delle proprie idee o dei propri comportamenti si deve cambiare per potere accedere al governo stesso.
In Italia, fu Bettino Craxi ad aprire la strada a questa controriforma nel rapporto tra politica e governo ma ora si può ben dire che le sue idee si sono largamente affermate. E i partiti, loro sì, sono sempre più omologati alla governabilità e affidano sempre più la cattura di consenso a pratiche, quelle si, populistiche e trasformistiche, in cui si cela la natura vera della contesa che è la lotta per un potere deprivato della sua essenza democratica cioè di essere strumento di un cambiamento ormai reso indisponibile dalla rivoluzione conservatrice.
Ma veramente si può sostenere che il problema della democrazia italiana sia stato e sia la governabilità? Mai come in questo ventennio c’è stata una sostanziale omogeneizzazione delle scelte proposte come le sole possibili ed ora, per altro, ampiamente etero determinate dal cosiddetto contesto europeo. Oppure si può considerare un caso che ancora nella contesa di oggi tutti abbiano però sottoscritto i trattati internazionali come il fiscal compact? Si arriva per altro al punto che addirittura si chiede ai cittadini di sottoscriverne loro stessi l’esigenza della applicazione per poter esprimere un voto che si dice dovrebbe essere funzionale ad esprimere una alternativa di governo che è invece negata da quell’atto richiesto. Rispetto al quale le affermazioni comizi esche di distanza restano tali a fronte della firma apposta.
E che dunque confina l’esercizio democratico nell’ambito di ciò che è compatibile con il governo stesso, che è il vero dominus che rende la democrazia una pura variabile dipendente. Il cui massimo è la ricerca del cosiddetto meno peggio in cui è sempre più evidente il peggio piuttosto che il meno. Così contro il “ peggio “Berlusconi c’era il “ meno “ Monti. Il quale “meno “ si è portato via articolo 18, pensioni di anzianità e ha ratificato il fiscal compact. Ora c’è il “ meno “ nel no al Monti bis e così via.
Questa inversione sostanziale tra democrazia e governo fa  si che ormai da venti anni  sia quest’ultimo al centro e non la prima, per altro come invece codificato dalla Costituzione. Con il risultato che l’Italia è l’unico Paese d’Europa dove si parla di elezione diretta del Governo. L’unico altro caso è Israele che lo motiva con le proprie condizioni. Gli altri sono parlamentaristici ed, alcuni, presidenzialistici o semi. E chi usa il maggioritario lo fa in questo ambito e non per sovrapporre il governo alla rappresentanza. Anzi, l’equilibrio tra rappresentanza e governo è il cuore delle democrazie come quella stessa americana. Qui da noi invece la rappresentanza dovrebbe, ed è, essere servile al governo. Trascinando nel servilismo anche i corpi intermedi.
Per altro questo è un occhieggiamento trasformistico al tema della democrazia diretta che gli stessi protagonisti di questa operazione postcostituzionale tacciano invece di populismo. Se il centro della democrazia rappresentativa è il governo perché allora non riconsegnare le funzioni stesse del governo all’espressione diretta dei cittadini? E invece quelli che vogliono essere eletti direttamente come governo, a prescindere dai voti stessi che hanno, si guardano bene dal dire che ad esempio sul Fiscal Compact ci vuole un referendum popolare che viene invece impedito.
Ed allora io penso che il vero nodo democratico delle prossime elezioni sia proprio questo: il no al Fiscal Compact. Perché solo rimuovendo questo Trattato che costituzionalizza la governance tecnocratica e rende impossibili le alternative si può ridare speranza alla democrazia.

Condividi

Cerca

Sostieni il Partito


 

COME SOTTOSCRIVERE

  • tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.
  • attivando un RID online o utilizzando questo modulo
  • con carta di credito sul circuito sicuro PayPal (bottone DONAZIONE PayPal sopra)

Ricordiamo che le sottoscrizioni eseguite con la causale erogazione liberale a favore di partito politico potranno essere detratte con la dichiarazione dei redditi del prossimo anno