Intervista a Sergio Cofferati di Maria Grazia Gerina
«Dobbiamo imporre all’Europa una inversione di rotta», scandisce Sergio Cofferati, segretario della Cgil nei primi dieci anni del lungo periodo berlusconiano. Da europarlamentare del Pd oggi sarà in piazza a Bruxelles, davanti alla sede del parlamento europeo.
È forse la prima volta che si costruisce una mobilitazione europea di questo tipo.
Che io ricordi ci sono stati pochissimi precedenti. E certo era molto tempo che i sindacati non decidevano una giornata di mobilitazione così vasta. La ragione è quella che hanno messo alla base dell'iniziativa. In tutti i paesi europei la crisi economica, che in qualche caso come in Italia è diventata addirittura recessione, sta producendo danni rilevanti al tessuto economico e sociale: calo dell'occupazione, ma anche aumento della povertà.
Ci sono milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. E c'è una massiccia presenza tra loro di working poors, lavoratori poveri.
Di chi è la colpa se i lavoratori si stanno impoverendo?
Nel caso dei cosiddetti “lavoratori poveri”, la responsabilità principale è dei modelli organizzativi che adottano le imprese. Non a caso si tratta soprattutto di donne che fanno lavori a tempo parziale o giovani che restano a lungo precari. In Italia, dove la maggior parte delle aziende pratica la politica dei bassi salari, c'è un problema in più che riguarda i lavoratori dipendenti, che altrove hanno stipendi più alti.
Ma “un'altra Europa” è ancora possibile e per quali azioni passa?
La maggior parte dei governi europei è di centrodestra e il predominio conservatore ha imposto all’Europa politiche del rigore sostanzialmente improntate al contenimento della spesa, nell'illusione che questo possa determinare spontaneamente dinamiche positive nelmercato. Come si è visto è una sciocchezza. Senza politiche di sviluppo, il contenimento della spesa crea solo depressione, peggiorando la qualità di vita di tante persone. Primo punto, quindi: rovesciare questa tendenza e imporre all'Europa politiche di investimento mirate a promuovere sviluppo e crescita sostenibile. Insieme al rigore a senso unico c'è stato poi anche il tentativo di smantellare il sistema sociale europeo, mettendo in crisi la coesione sociale che ha caratterizzato per moltissimo tempo questa parte del mondo. E questo è il secondo punto: la difesa del welfare. Infine, la cultura del centrodestra haportato un attacco diffuso anche ai diritti, della persona, del lavoro, dei cittadini. E questo è il terzo fronte.
L'avvento di Hollande ha cambiato qualcosa?
Ha riaperto la dialettica che con l'asse Merkel-Sarkozy era spenta. Ma se l'anno prossimo in Germania la coalizione rosso-verde avrà il sopravvento, potranno prodursi cambiamenti più rilevanti. Poi se anche l'Italia arriverà ad avere un governo di centrosinistra ancora meglio.
In Italia, lo sciopero generale arriva dopo riforma del lavoro, le pensioni, la spending review: troppo tardi?
Io penso che dallo sciopero di domani (oggi ndr) il sindacato italiano possa ripartire. Mi dispiace sia proclamato da una sola organizzazione e che ci sia da parte delle altre due organizzazioni confederali una sottovalutazione incomprensibile della gravità della situazione italiana e del nesso che esiste tra i nostri problemi e la loro origine anche europea. In Italia, la situazione è anche peggiore che nel resto d'Europa. La Banca d'Italia ha rivisto tre volte al ribasso le ipotesi di decrescita. Il peggio, contrariamente a quanto ha sostenuto qualchemese fa lo stesso presidente del consiglio, non è affatto passato. La caduta dei consumi e della produzione industriale annunciano mesi ancora molto molto difficili.
Con quali ripercussioni sociali?
Stiamo attraversando un momento di grandi difficoltà e di tensioni sociali, che hanno come minimo comune denominatore il prevalere del sentimento della preoccupazione e della paura. Al di là dello sciopero di domani (oggi ndr), non vedo grandi reazioni collettive. C'è invece molto timore da parte delle persone e l'atteggiamento è quello della chiusura, della rinuncia anche nella vita sociale a normali forme di partecipazione.
C’è un ritardo nella rappresentazione di questo disagio?
Il ritardo c'è, però da questo sciopero può ripartire una iniziativa per imporre al governo politichedi crescita.Civuole un pianodi investimenti che ruoti attorno ad alcune priorità: conoscenza da una parte –innovazione, scuola, ricerca –e infrastrutture dall'altra. Per reperire le risorse dobbiamo fare due cose: promuovere una vera lotta all'evasione e tassare le ricchezze. La parola patrimoniale non piace? Chiamiamola “Giovanni ”. L'importante è che sia rivolta a far pagare un contributo alle ricchezze che ci sono. E che con queste risorse si faccia quel piano di sviluppo di cui ha bisogno il paese. Quello che ha fatto l'esecutivo fin qui si è rivelato del tutto inefficace.
Si è sentito un po' isolato nel suo partito a firmare i referendum sul lavoro?
Secondo me c'è stata una sottovalutazione pericolosa sia da parte dei sindacati che della politica della posta in gioco, e si deve recuperare. L'articolo 8 della finanziaria del governo Berlusconi, fatto su misura sulla Fiat, può portare alla cancellazione del contratto nazionale del lavoro. L'allarme dovrebbe squillare prima di tutto in casa sindacale. Se poi la politica su questo e sull’articolo 18 pensa che la strada referendaria non sia efficace ponga l'obiettivo di cambiare queste norme nel programma elettorale. Ma non possono non fare né l'una né l'altra cosa.
A Pomigliano lo sciopero sarà di 8 ore. Cosa pensano in Europa dell'azione ritorsiva di Marchionne contro la Fiom?
Non c'è una discussione. Sono cose che l'Europa lascia volentieri all'Italia.
In piazza ci saranno anche gli studenti insieme ai loro prof. Due generazioni, padri e figli, come il 23 marzo 2002. La crisi li ha uniti o li divide?
La crisi li penalizza entrambi. Metterli uno contro l'altro è strumentale. Chi ha sostenuto che con la riforma del mercato del lavoro si sarebbe creato uno spazio per i giovani è stato clamorosamente smentito. E poi abbiamo sprecato tante energie a discutere comeriorganizzare il lavoro mentre il lavoro spariva. È arrivato ilmomento di impegnarsi a costruire nuove opportunità di lavoro. Anche per questo domani (oggi ndr) bisogna essere in piazza.
da Pubblico