di Domenico Moro

Dopo un complicato togli e metti durato giorni, la versione uscita dalla Commissione Bilancio e che verrà sottoposta alla Camera nei prossimi giorni, è riuscita nella mission impossibile di peggiorare la versione iniziale della Legge di stabilità, battendosi per conservare le cose sbagliate. L’incredibile è stato toccato con le scuole private, che, grazie all’impegno della maggioranza, hanno conservano i 223 milioni previsti dalla Legge di stabilità, cui si aggiungono 10 milioni previsti nella spending review, mentre la scuola pubblica subisce tagli pesantissimi. Ma questo evidentemente non conta per Simonetta Rubinato del Pd, presentatrice dell'emendamento, che esulta: «Il governo è stato battuto.

Una battaglia vinta a favore delle famiglie e in particolare delle scuole paritarie che fa risparmiare allo stato, solo in Veneto, 500 milioni di euro». Intanto, l’Italia e l’area euro stanno affondando insieme, ma la prima si inabissa molto più velocemente.
Il Pil italiano scende nel terzo trimestre 2012 rispetto al 2011 del -2,4% contro il -0,6% dell’area euro, mentre la produzione industriale a settembre è risultata inferiore a quella del 2005 rispettivamente del -17% e del - 2,6%. Di fronte a questa débacle, il dibattito parlamentare intorno alla Legge di stabilità si riduce ad un esercizio di propaganda politica da parte della maggioranza Pdl-Pd-Udc in vista delle elezioni. Il peggioramento della nuova versione non riguarda i saldi, che, come impone il pareggio di bilancio inserito in Costituzione, devono rimanere invariati, ma piuttosto la distribuzione delle scarse risorse. Sul piano fiscale, Pdl e Pd hanno abolito la riduzione, proposta dal governo, delle aliquote Irpef più basse, che valeva circa 5,8 miliardi annui di risparmio per le famiglie. Come compensazione Pd e Pdl hanno aumentato le detrazioni per i figli a carico. Complessivamente nello scambio i lavoratori ci perdono, visto che l’incremento delle detrazioni vale tra uno e due miliardi. Eppure, in questi giorni autorevoli quotidiani hanno titolato che gli sconti favorirebbero le famiglie più povere: un reddito di 10mila euro avrebbe avuto una riduzione Irpef del 10% con un figlio a carico. Quello che ci si è scordati di dire è che per i redditi più bassi, in molti casi, l’incremento della detrazione è ininfluente.
Un reddito di 10mila euro che applichi la detrazione per i lavoratori dipendenti e poi la detrazione per un figlio a carico già ora non paga l’Irpef, anche senza bisogno di aggiungere altre detrazioni, come quella per le spese sanitarie. Ma lasciamo i casi estremi, anche se purtroppo sempre più diffusi nel nostro Paese, ed esaminiamo i redditi medi dei lavoratori dipendenti che compongono la massa di chi avrebbe beneficiato della riduzione delle aliquote. La retribuzione contrattuale di cassa media di un lavoratore privato è di 23.000 euro. Se per semplicità escludiamo dal computo del reddito imponibile le deduzioni (mutui o rendite della prima casa) e consideriamo solo la detrazione per lavoro dipendente, nella precedente versione della Legge di stabilità il lavoratore in questione avrebbe pagato con un figlio a carico sopra i tre anni una Irpef (escluse le addizionali) di 3.703 euro.
Invece, con l’aumento della detrazione per il figlio, ma con le aliquote invariate, pagherà 3.819 euro, ovvero 116 euro in più (+3%). A guadagnarci sarà solo chi ha più di due figli e per giunta inferiori ai tre anni, in Italia una piccola minoranza. Oltre che alle scuole private, i soldi, che non verranno dati alle famiglie, andranno alle imprese in genere.
Su questo la maggioranza ha dato dei punti al governo. Dal 2014 la deduzione dalla base imponibile annua per l’Irap delle imprese, già innalzata per i giovani e le donne neoassunte, passerà per ogni lavoratore da 4.600 a 7.500 euro, e nel Mezzogiorno salirà da 9.200 a 15mila, per un totale di un miliardo.
Altri 800 milioni andranno ad aggiungersi alla già prevista detassazione dei salari di produttività e 400 milioni come credito d’imposta alla ricerca.

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