di Alessandro Gilioli
Tralascerei di accodarmi all’entusiasmo per l’affluenza e la giornata di festa: non per snobismo, ma davvero di questo hanno già detto in tanti.
E poi da oggi si fa sul serio: non tanto per decidere il vincitore – su Bersani scommetterei la tredicesima – ma soprattutto per stabilire i rapporti di forza, con tutto quello che ne consegue per il centrosinistra italiano e probabilmente per il governo del Paese. Già dopodomani sera, al faccia a faccia su Raiuno, non credo si respirerà la stessa aria buonista ed ecumenica che abbiamo visto nel confronto a cinque.
Una bozza di rapporti di forza peraltro è già stata definita dal voto di ieri: ad esempio, la vittoria di Renzi in due roccaforti rosse – Toscana e Umbria – lo sdogana definitivamente come parte fondamentale e ineludibile del Pd, piaccia o non piaccia. Per quanto abbia tra i suoi supporter Feltri e la Santanchè, considerarlo ancora un ‘alieno’ o un infiltrato mi pare fuori tempo massimo.
La seconda certezza che emerge dal voto di ieri è la fine della parabola di Vendola.
Due anni fa era considerato il possibile vincitore di eventuali primarie, ormai si è rinsaccato in un ruolo da gregario e portatore d’acqua al mulino piddino che non solo non rende giustizia alla sua storia, ma soprattutto lascia orfana di rappresentanza politica una grande parte di elettorato di sinistra: quella che si sente lontanissima dalla tecnocrazia di Monti, che vorrebbe tagliare le unghie alla finanza e ai rentiers, che non ha timidezze né sui diritti sociali né su quelli civili (matrimonio gay, biotestamento etc), che considera la legalità e l’ambiente priorità e non orpelli.
Ah sì, in quest’ultima area ci sto anch’io – che ieri tra mille dubbi non ho votato – e credo che di questa ricostruzione di rappresentanza ci si dovrà occupare, molto, in Italia, da oggi: Pd o non Pd, Bersani non Bersani, Renzi o non Renzi.