di Carlo Lania
L'anno nuovo potrebbe portare centinaia di migliaia di nuovi disoccupati. A lanciare l'allarme è stato il Nidil-Cgil, il sindacato che si occupa delle nuove identità lavorative il cui segretario, Filomena Trizio, teme che la scadenza dei vecchi contratti a progetto e l'imminente entrata in vigore delle nuove norme previste dalla riforma Fornero porti le aziende a stipulare nuovi e ancora meno garantiti rapporti di lavoro. E invita i lavoratori interessati a rivolgersi agli uffici della Cgil per avere maggiore tutela. A rischio, secondo il sindacato, c'è almeno il 60-70% dei circa 700 mila contratti a progetto oggi in essere, la cui scadenza è prevista entro il 31 dicembre. «Molte aziende - denuncia Trizio
- non stanno rinnovando i contratti e in alcuni casi anziché trasformare le collaborazioni a progetto o le associazioni in partecipazione in lavoro dipendente, aggirano le norme utilizzando tipologie ancora peggiori, come le partite Iva o i voucher». Per fronteggiare quella che si presenta come una vera emergenza e che rischia di trasformarsi nell'ennesima bomba sociale, il Nidil ha lanciato al campagna «Capodanno 2013 - Non restare da solo» con cui sta prestando assistenza ai lavoratori con contratto a scadenza.
E sono decine e decine i lavoratori atipici che in queste ore, nonostante i giorni di festa, stanno bussando alle porte della Cgil. Dove, pur riconoscendo che per ora si tratta solo di stime, si tiene comunque a precisare come quello lanciato sulle possibilità che centinaia di migliaia di lavoratori si ritrovino senza più neppure un contratto a progetto sia una allarme serio, che rischia di avere conseguenze pesantissime. Dei circa 700 mila precari interessati loro malgrado, almeno 350/400 mila sono impiegati nel privato. E dentro c'è di tutto: commessi di negozio, operai, portieri. Una forma contrattuale usata prevalentemente nel commercio ma in realtà senza alcun limite di settore, tanto da essere utilizzata da tempo anche nell'industria. Secondo l'Istat, nel terzo trimestre di quest'anno erano 430 mila i collaboratori (co.co.co. o co.pro.), mentre i dati Inps parlano di 1.464.950 collaboratori totali, vale a dire le persone che nell'arco dell'anno hanno avuto anche un solo contratto di collaborazione. E per quest'ultimi non vale neanche la proroga di sei mesi prevista dalla legge di stabilità per i precari della pubblica amministrazione.
Questo fino a oggi, ma a partire dal prossimo anno non potrà più essere così. Sulle collaborazioni a progetto, infatti, la riforma del lavoro del ministro Fornero ha imposto criteri ben precisi per verificare l'autenticità di queste forme professionali. «E' previsto che questo contratti debbano avere un progetto ben definito a cui applicarli, con un inizio e una fine, funzioni che non siano né ripetitive né meramente esecutive e infine che non abbiano retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali», spiega Trizio.
Paletti che, a quanto pare, starebbero portando molte aziende alla scelta di non rinnovare i contratti a progetto in scadenza, proponendo alternative più svantaggiose, come appunto la partita Iva o i voucher, per il lavoratore. Che quasi sempre si ritrova da solo di fronte all'azienda e quindi nell'impossibilità di effettuare una vera contrattazione. Da qui l'importanza di rivolgersi al sindacato. «Proviamo ad attivare tavoli contrattuali - è l'auspicio di Trizio - con la speranza che si possa avere un governo che non scarichi più sul lavoro tutte le contraddizioni di questo paese».
D'accordo con la Cgil si è detto Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro durante il governo Prodi. «Il rischio di interruzione del lavoro alle prossime scadenze dei contratti temporanei è reale», ha detto. «Si tratta di mezzo milione di persone in difficoltà. A questo si aggiunge il problema che. al prolungamento della crisi, corrisponde la crescita della cassa integrazione, che arriverà a un miliardo e cento milioni di ore autorizzate alla fine del 2012. Il nuovo governo - ha concluso Damiano - dovrà correggere le riforme delle pensioni e del mercato del lavoro per evitare una crescita della disoccupazione».
da il manifesto