di Antonio Ingroia
Oggi questo Diario dovrebbe chiamarsi Diario Italo-Guatemalteco perché in realtà lo scrivo mentre sono in Italia, ma pronto per ripartire per il Guatemala. Che ci faccio in Italia lo sapete. Non solo per le festività natalizie, ma anche perché coinvolto in un’iniziativa “politica” della società civile che si è condensata nel manifesto “Io ci sto”, di cui sono primo firmatario e che io stesso ho lanciato venerdì scorso al teatro Capranica a Roma. Sul punto, ho poco da aggiungere a quanto ho già detto venerdì. L’Italia è oggi un Paese ammalato, soprattutto di iniquità. Economica, sociale e giuridica. Gli italiani non sono mai stati eguali fra di loro. Si dice che nei momenti di difficoltà dovrebbe crescere
la compattezza nazionale, il senso di Patria. Questo non è avvenuto . Hanno finito per prevalere i furbi e i potenti. Il ventennio berlusconiano ha lasciato macerie. Macerie dello Stato di diritto, per la mortificazione di tutti i poteri di controllo. Macerie dello Stato sociale per l’azzeramento della sicurezza sociale dei più deboli. Macerie dei diritti di ciascuno di noi. Col risultato che gli italiani meno tutelati oggi sono più poveri di diritti e con le tasche vuote. Mentre i più ricchi e i più potenti, insomma chi più ha meno rischia. E Monti non è affatto incolpevole di tutto ciò. Anzi, ne è doppiamente responsabile. Per averci convinto col suo prestigio che avrebbe rimesso l’Italia in piedi. E così non è stato. Perché, al di là dello stile certamente ben diverso dal berlusconismo, le linee e le scelte politiche del governo Monti sono state del tutto in linea con quelle neoliberiste dei governi Berlusconi. È una situazione di emergenza quella che abbiamo davanti. Un’emergenza non solo economico-finanziaria, ma anche politico-istituzionale, per il punto più basso di credibilità mai raggiunto dalle nostre istituzioni politiche, e anche emergenza morale, per la grave crisi etica in cui è affondata tutta la nostra classe dirigente e il nostro ceto politico. Si tratta, allora, di una vera e propria emergenza democratica di fronte al rischio di tracollo. Che fare, allora? Rimanere ai bordi del fiume a guardare, magari attendendo il cadavere del nemico passare, come dice il famoso proverbio cinese? Io credo di no. Credo che siano arrivati i giorni della responsabilità, in cui ciascuno deve impegnarsi e rischiare in proprio per dare il proprio contributo, piccolo o grande, per salvare il Paese. Anche perché, se restiamo ai bordi del fiume ad aspettare, prima o poi il cadavere che vedremo passare non sarà quello del nemico, ma quello dell’Italia. E nessuno vuole la morte del nostro Paese. Anzi, credo che tocchi agli italiani andati all’estero come me, che hanno costruito una bella immagine del nostro Paese in giro per il mondo, ad avere un obbligo di riconoscenza nei confronti dell’Italia. E un dovere di responsabilità a impegnarsi. Per quel che mi riguarda, sono pronto a metterci la faccia, assumendomi tutti i rischi che ne conseguono, anche per le critiche che ne conseguiranno. Ma dobbiamo farlo tutti. Rinnovo l’appello a tutti gli italiani che credono ancora nella possibilità di salvare questo Paese che va cambiato. Anche nel nome degli uomini che si sono sacrificati, a volte con la loro vita, per migliorare la nostra terra. È retorica questa? Retorica da canzonette, come dice un tale Al-do Grasso che scrive su Il Corriere della Sera? Un critico televisivo che fino a poco tempo fa si è occupato di Sanremo, X-Factor e così via, e quindi di canzonette, e che ora vuole fare il tuttologo, occupandosi di tutto sapendo assai poco delle cose di cui parla? Come quando ha definito quasi come capolavori le fiction televisive di Valsecchi da Il capo dei capi a L’ultimo padrino, tutte dentro i cliché dell’apologia dei boss mafiosi, così aggiungendo altri capitoli all’iconografia mitizzante della mafia? Bè, se questo è il prezzo, preferisco tenermi la retorica dei martiri dell’antimafia. Almeno ho dei buoni modelli cui ispirarmi.