di Paolo Valentini
Nel 2009 il primo numero della rivista Wired pubblicava in copertina la foto di Rita Levi-Montalcini sorridente, volto sbarazzino da eterna ragazza del secolo scorso. Intelligenze superiori dal pianeta Italia. La rivista non poteva cominciare le sue pubblicazioni senza immortalare l'espressione gaudente di una protagonista speciale del novecento italiano. Per una testata che parla di futuro e idee che cambiano il mondo quell'immagine voleva essere di buon auspicio per una nuova generazione di ricercatori e inventori che avrebbero votato la loro vita a migliorare le condizioni dei propri simili nel mondo, nelle tante università in cui nascono i piccoli miracoli della scienza.
Miracoli che salvano delle vite, miracoli che cambiano i destini degli afflitti. Miracoli che disegnano le traiettorie di un altro mondo possibile. Per queste ragioni noi non potevano chiudere le nostre pubblicazioni “precoci” senza ricordarla nel giorno della sua dipartita. Anche per chi, come me, la scienza è sempre stata una nebulosa sconosciuta e lontana, Rita Levi-Montalcini è stata la divulgatrice per eccellenza, la traduzione virtuosa ed entusiasmante di una disciplina complicata che aveva, nella mia testa, difficoltà a raccapezzarsi con parole tipo “scoperta scientifca”, “mente”, “malattia”, “speranza”, “neurobiologia”, “cellule staminali”.
Lei è riuscita a mettere ordine alla complessità di una materia indicibile, lontana dalle semplificazioni. Il suo corpo longilineo, la forma affusolata delle sue mani, le sue parole calme e argute su significati che apparivano reconditi ma invitanti per i tanti che l'ascoltavano l'hanno fatta sembrare senza ombra di dubbio un gigante delle discipline a cui aveva dedicato la sua vita di studiosa.
Se il novecento è stato una grande galoppata, ricco di spartiacque, tragediecollettive, corsi e ricorsi e sfide vinte contro i dogmatismi delle tante chiese italiche, Levi-Montalcini ne è stata il fantino più autorevole.
Il suo corpo ha fatto quello che voleva, arrivando a 103 anni e dimostrando una tenacia da scalatrice. Ma lei era la sua mente. La sua bella mente capace di: vincere il Premio Nobel per la medicina nel 1986, grazie alla scoperta e all'identificazione del fattore di accrescimento della fibra nervosa; ricevere nel 1963 per la prima volta una donna scienziata il Premio Max Weinstein, donato dallo United Cerebral Palsy Association per contributi eccezionali nel campo della ricerca neurologica. Il William Thomson Wakeman Award dalla National Paraplegia Foundation (1974), il Lewis S. Rosentiel Award per il notevole lavoro nella ricerca medica dalla Brandeis University (1982), il Louisa Gross Horwitz Prize of Columbia University (1983), l'Albert Lasker Basic Medical Research Award (1986). Diventare membro della American Academy of Arts and Sciences, la National Academy of Sciences, e della Accademia Nazionale delle Scienze.
A vincere il Premio internazionale Saint-Vincent, il premio Feltrinelli e il premio Albert Lasker per la ricerca medica.
Il 30 settembre 2009, per i suoi studi sul sistema nervoso, ha ricevuto il Wendell Krieg Lifetime Achievement Award, riconoscimento internazionale istituito dalla più antica associazione internazionale dedicata allo studio del sistema nervoso, il Cajal Club.
Ad essere nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, il 1º agosto del 2001.
I premi e i riconoscimenti non fanno una biografia però aiutano a comprenderla.
Le sue opere, tradotte in tutto il mondo, sono state e continueranno a essere un punto di riferimento per tutti coloro che si accingono a studiare il sistema neurologico e nervoso.
Senza retorica si può dire che fu una cittadina esemplare che si oppose al fascismo negli anni trenta e a tutte le assurdità che le leggi razziali imponevano al conformismo abbacinato dell'epoca. Lei, di origini ebraiche sefardite, ha sempre avuto un atteggiamento laico nei confronti della complessità della vita.
Nata e cresciuta nella Torino tollerante e fervente del primo ventennio del secolo, quella di Gobetti, Gramsci, quella liberal socialista degli azionisti, quella comunista dura e pura ma desiderosa di un sol dell'avvenire nostro, in riferimento alle classi sociali più sfruttate, la Montalcini si è mossa sempre con cautela manifestando una coerenza di pensiero che travalicava le appartenenze spicciole e le casacche ma che faceva trapelare una posizione esistenziale e un atteggiamento intellettuale inamovibili.
È stata la sua forza di scienziata. E la sua forza di donna in un mondo accademico ancora troppo compassato e scettico nei confronti dell'altro sesso.
da Pubblico giornale