di Antonello Mangano

«Il canguro è forte e salta con la morte». È il titolo di un sito web curato da ex parà della Brigata Folgore. Una serie di pagine nate con un solo scopo. Fare a pezzi – dal punto di vista scientifico – lo studio «Autoritarismo e costituzione di personalità fasciste nelle forze armate italiane: un’autoetnografia», scritto dai sociologi Pietro Saitta e Charlie Barnao. Quest’ultimo oggi fa il ricercatore a Catanzaro, ma ha un passato da paracadutista tra Pisa e Siena. Il suo diario è alla base del working paper che interpreta la caserma come «istituzione totale» e la Folgore come un corpo caratterizzato da riti di iniziazione e addestramento particolarmente violenti, con precisi richiami «fascisti».

Lo studio non è scientifico, ribattono i parà. Si basa su una sola testimonianza, perdipiù datata. «Dal punto di vista della statistica», scrivono «un singolo campione potrebbe appartenente a un percentile irrilevante». E aggiungono: «Siamo influenzati dall’orgoglio ferito per aver servito il paese nei paracadutisti».

«L’arrivo in caserma è un po’ traumatico...», racconta Barnao. Le reclute sono i «mostri». Per loro il primo impatto non è facile. «All’entrata in caserma c’era un gruppetto di paracadutisti che hanno iniziato a urlarci in coro “benvenuti all’inferno!”». Poi ci sono i vari rituali d’iniziazione. Uno dei più brutali è in vigore presso i Nocs: «Picchiare il fondo schiena di un commilitone sino al punto di renderlo insensibile, così da applicare un morso profondissimo che squarcia i glutei da lato a lato». Nella Folgore, invece, si usa la «pompata»: flessioni sulle braccia ordinate a un sottoposto. In qualsiasi momento: «Il paracadutista che ha ricevuto l’ordine di pompare deve immediatamente tuffarsi a terra e durante il tuffo, mentre è ancora in aria, deve sbattere le mani due o persino tre volte (una avanti, una dietro la schiena, una avanti) se il superiore lo richiede. Il superiore può fare ripetere tale operazione tutte le volte che vuole, fino a quando non la riterrà svolta nel modo corretto».

Il libro scatena una intensa campagna. Oltre 500 cittadini, capeggiati da docenti universitari, firmano una petizione di protesta. Un articolo del «Giornale» titola: «L’università di Messina infanga la Folgore – Un saggio dipinge la Brigata come una fabbrica di fascisti». In coda, centinaia di commenti basati sulla contrapposizione tra «sociologi comunistoidi» e patrioti con la divisa. La risposta dell’Università non si fa attendere. Il direttore della collana editoriale rimuove il working paper dal sito ufficiale del Cirsdig, il centro studi che vanta tra i membri del comitato scientifico anche il filosofo francese Edgar Morin.

«Quale direttore dei Quaderni Cirsdig, rammaricandomi dell’omissione della doverosa vigilanza, determinata da una mal riposta fiducia, rendo noto che il testo di Barnao e Saitta, è stato pubblicato sul sito a gennaio del 2012, con il n. 50, senza la mia autorizzazione e a mia insaputa dal redattore dr. Pietro Saitta, che gestisce operativamente il sito», scrive il prof. Carzo. «Il testo in questione, contrariamente alle regole dei Quaderni Cirsdig, non è stato preventivamente sottoposto alla procedura di referaggio anonimo, quindi è stato eliminato dal sito stesso, in quanto non conforme ai criteri stabiliti. Informo, pertanto, di aver già provveduto a rimuovere dall'incarico il dr. Pietro Saitta, di concerto con il Comitato Scientifico».

«Sarebbe una mia iniziativa autonoma», ribatte Saitta. «Ma ho salvato i messaggi di posta elettronica in cui avviso il direttore del nuovo inserimento, così come la mailing list inviata a tutti i colleghi. Ho annunciato la pubblicazione, senza ricevere nessun commento, negativo o positivo che fosse. Soprattutto, ho richiesto di poter pubblicare l’articolo, ricevendo dopo qualche giorno l’approvazione. È inoltre prassi che il direttore contatti i referee anonimi, secondo il sistema USA del double blind. Saranno loro a esprimersi sul valore della pubblicazione. Ovviamente se lo fa l’autore, non sono più anonimi né affidabili».

Le polemiche nascono sostanzialmente dall’accusa di «fascismo». Gli autori spiegano di avere semplicemente confrontato il materiale empirico con la teoria di Adorno che risale a uno scritto del 1950. Secondo la «scala F», le caratteristiche della personalità fascista sono: «il rispetto per le convenzioni; la sottomissione all’ordine vigente; la mancanza di introspezione; la superstizione; le credenze stereotipate; l’ammirazione per il potere e la durezza; l’emersione di tendenze ciniche e distruttive; un eccessivo interesse e una eccessiva attenzione verso la sessualità».

Ma l’aspetto realmente interessante del saggio non è il legame Folgore-ventennio o il nonnismo. Sono elementi noti su cui si è discusso anche in passato. Gli autori sostengono che in Italia si sta assistendo alla trasmissione di pratiche e ideologie dall’esercito alla polizia, producendo una commistione che rende il confine tra guerra e pace sempre più confuso. «Così com’è accaduto ad altri paesi europei, a partire dagli anni Ottanta, l’Italia ha conosciuto una profonda trasformazione della propria struttura militare e di polizia, attraverso l’impegno crescente nelle missioni internazionali; l’abolizione del servizio militare di leva e la nascita di corpi militari professionali; la creazione di canali privilegiati di passaggio dall’esercito alla polizia per coloro che abbiano prestato da uno a tre anni di servizio militare e, conseguentemente, il significativo ingresso di veterani nelle forze dell’ordine».

Questi elementi contribuiscono a spiegare situazioni cruente di gestione dell’ordine pubblico, a partire dal G8 a Genova. I casi Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Michele Ferrulli e Christian De Cupis, morti in strada o caserma. E anche il crescente risentimento nei confronti delle forze di polizia (la diffusione delle scritte «Acab» in tutta Italia).

La tendenza esprime una doppia conversione, «quella poliziesca del militare e quella militare dell’azione di polizia». Lo ribadiscono autorevoli studi come quello dell’Università di Genova firmato da Alessandro Dal Lago e Salvatore Palidda. Gli studiosi segnalano «il rafforzarsi, ben oltre il livello di guardia, dell’autonomia di alcuni corpi speciali di polizia, come, per esempio, a livello europeo, Eurogendfor». Si tratta di un corpo creato da cinque stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, finora impiegato in Bosnia, Haiti, Afghanistan. Sul sito ufficiale si spiega che «le forze di Eurogendfor hanno un addestramento militare e un robusto equipaggiamento che permette loro di agire in “ambienti destabilizzati” svolgendo compiti di polizia fin dall’inizio di una crisi». 

da L'Inkiesta

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