Tonino Bucci
Un microchip su campo verde, per il resto il colore che predomina è il rosso. Due slogan campeggiano, «Connettiamoci» e «Futura umanità», il primo una metafora presa a prestito dal linguaggio della rete, il secondo un flash back nella tradizione, gli albori del movimento operaio. È Rosa Rinaldi ad aprire dal tavolo della presidenza l'VIII congresso di Rifondazione comunista con un ricordo di Lucio Magri. In platea, in prima fila, siedono gli ospiti. C'è la Fds col suo portavoce Massimo Rossi, c'è Diliberto per il Pdci, Salvi e Patta, c'è anche una delegazione del Pd e De Cristofaro per Sel, Turigliatto per Sinistra Critica e Ferrando per il Pcl. E, sempre in prima fila, i partiti "fratelli" - come si diceva un tempo - i portoghesi, gli spagnoli, i greci, i cubani, i rappresentanti palestinesi. Il primo applauso scatta durante il discorso di saluto di Nando Morra, il presidente della Mostra Oltremare di Napoli, la struttura che ospita il congresso. «Anche un'azienda pubblica può essere governata bene».
Per la prima volta da tre anni a questa parte non si respira aria di ineluttabilità, non c'è quel cupio dissolvi che agguanta come una depressione e fa credere che non ci sia più nulla da fare.
«Il peggio sta dietro di noi». Per tutta la relazione introduttiva il segretario del Prc Paolo Ferrero martella ossessivamente sulla novità della fase, sul carattere «costituente» del governo Monti e sulla scelta dell'opposizione che riapre i giochi. Ma, via via, ci saranno anche numerosi riferimenti alla storia di Rifondazione e a quella, di più lunga dei comunisti - e pigerà anche sul tasto dell'orgoglio di appartenenza a una comunità. La conclusione sarà sul lavoro di riorganizzazione del partito: le correnti, la comunicazione, il carattere monosessuato, il rapporto tra centro e periferia.
I delegati ascoltano attenti. L'analisi del capitalismo finanziario è impietosa, c'è tutt'altro che da rallegrarsi per la piega che stanno prendendo le cose. Ma c'è anche la percezione di una situazione aperta e in movimento, che è possibile giocarsela. Crisi economica, ambientale ed energetica, «nuove guerre per il controllo delle risorse», brutali rapporti di dominio nel mondo tra Stati forti e Stati deboli (la vergogna del blocco economico a Cuba e i veti sul riconoscimento dell'indipendenza della Palestina), «regressione di civiltà». È la smentita clamorosa delle teorie sulla fine della storia e di quanti, dopo il crollo del Muro di Berlino, avevano predetto pace e prosperità. E poi l'Europa: proprio nel continente dove si era realizzato il compromesso sociale più avanzato nel dopoguerra, «l'attacco al welfare e ai lavoratori è più pesante». La crisi riguarda anche le "regole" del gioco, sotto botta sono la democrazia e le «Costituzioni nate dalla lotta contro il nazifascismo». In Grecia Papandreu non ha potuto fare il referendum e «l'hanno sostituito con un governo guidato da un ex banchiere». In Italia «ci hanno spiegato che non si potevano fare le elezioni e ci ritroviamo per premier un funzionario della tecnocrazia come Monti». Si respira aria di Weimar e di '29. La risposta delle classi dominanti riproducono «i tratti di quel neoliberismo che ci ha portati alla crisi». «I parlamenti hanno perso potere nei confronti dei governi e gli Stati nei confronti della Bce, e gli Stati più deboli nei confronti della Germania».
Ferrero insiste anche sulla "spiegazione" della crisi, per infrangere quella parvenza di naturalità con cui si presentano le politiche neoliberiste. La speculazione c'è perché «la Bce è l'unica banca centrale che presta soldi alle banche ma non acquista titoli pubblici», a differenza di quanto avviene negli Usa e nel Giappone che pure sono paesi ad altissimo debito pubblico. Scelte politiche, appunto. Accentramento del comando e dure gerarchie: questa è l'Europa nella quale si colloca la novità del governo Monti. «L'Italia è commissariata». Berlusconi è saltato non solo per gli attacchi speculativi, ma anche perché si è frantumato il suo blocco di potere. Non possiamo dimenticarci «il carattere reazionario di quel governo», antipopolare e classista, e il modo in cui è caduto rappresenta per noi una sconfitta. Berlusconi si poteva sconfiggere in un altro modo, «con un voto popolare e il fronte democratico», invece è andata diversamente. Le classi dirigenti sono riuscite a sostituire Berlusconi «senza cambiare politiche economiche». Il giudizio sul governo Monti è inequivocabile, lo è pure la scelta dell'opposizione. «Questo è il governo della Bce che viene nel parlamento italiano e si fa votare i provvedimenti». Gli ingredienti della ricetta Monti sono «tagli alla spesa pubblica», «privatizzazione dei servizi», un mix di «aziendalismo» e «neofamilismo cattolico». Se Berlusconi rappresentava la Milano da bere, Monti è l'altra faccia della borghesia, austera e avvezza al comando, grigia e padronale, molto sabauda e col senso della gerarchia. Da un lato, il populismo berlusconiano, dall'altro un nuovo blocco di potere che prova a costruire la sua base sociale, improntato alla «linea della Bce» e al conservatorismo tedesco stile Merkel.
Nessuno può prevedere come andrà a finire. Di certo, se Monti va avanti fino al 2013 può essere che non ci saranno più il centrodestra e il centrosinistra. Ma lo scenario dipenderà anche da «quel che faremo noi». «Non mettiamoci a discutere di cosa faremo alle prossime elezioni e a commentare quel che fanno gli altri». Un partito comunista serve «se dà forza» e sa indicare «un'alternativa», non se comunica «impotenza». Si arriva così al programma: un polo finanziario pubblico, «la cassa depositi e prestiti non deve essere utilizzata per le speculazioni»; una patrimoniale da venti miliardi per finanziare un salario sociale; un tetto alle pensioni di cinquemila euro; la riduzione delle spese militari e l'avvio di opere per mettere in sicurezza l'assetto idrogeologico del paese.
Infine, l'unità della sinistra, un lavoro da svolgere su più fronti. Su quello sociale, con la «costituente dei beni comuni e del lavoro». «Non esistono contenitori politici che siano in grado di risolvere di per sé il problema dell'aggregazione. Anche se mettessimo assieme tutti i partiti, questo non sarebbe risolutivo, c'è tanta gente che non fa politica nei partiti, ma nei territori, nel volontariato, nelle associazioni, nei comitati». E poi la Fds, che «va migliorata e fatta funzionare meglio». Un messaggio anche a Sel. «A Vendola dico: è cambiata la fase, fino a qualche mese aveva un senso ragionare sulle primarie, ma oggi non sappiamo neppure se da qui a breve ci sarà ancora l'euro, figuriamoci le primarie. Non ha più senso». Non è più «il tempo per continuare ognuno a stare a casa sua». Bisogna costruire una sinistra che faccia «massa critica per incidere, radicata e capace di inglobare intelligenze».
Liberazione 3/12/2011