di Rocco Tassone
Nel contesto della crisi mondiale la già debole economia del mezzogiorno, in particolare della Calabria, rimane annientata ed il divario tra il nord ed il sud del paese tende a crescere sempre di più.
E’ stato pubblicato di recente l’ultimo rapporto SVIMEZ sul Mezzogiorno. In questo documento il freddo dato numerico conferma ciò che noi calabresi viviamo quotidianamente sulla nostra pelle: disoccupazione alle stelle con particolare riguardo a quella femminile e giovanile; ripresa dell’emigrazione delle giovani generazioni verso il nord d’Italia e verso il nord Europa. Le famiglie calabresi sono ridotte alla disperazione. Cinquanta anni di intervento straordinario, prima dello stato e poi anche dell’Unione Europea, hanno prodotto solo ruberie. Niente industrie, niente infrastrutture, niente posti di lavoro.
Nel corso dell’ultimo decennio sono stati investiti in Calabria oltre 5 miliardi di € di capitali privati nel settore energetico (oltre 10 mila miliardi di lire!!!) per la realizzazione di varie centrali termoelettriche a turbogas, parchi eolici, elettrodotti, centrali a biomasse. Impatto occupazionale: ZERO! Impatto sul PIL regionale: doppio ZERO. Nel corso degli ultimi 20 anni siamo stati destinatari di 4 programmi europei: 1991/93; 1994/99; 2000/06; 2007/13. In questo caso la somma complessiva dei miliardi di € a supera con ogni probabilità i 20. Impatto infrastrutturale: ZERO! Impatto occupazionale: ZERO! Impatto sul PIL regionale: doppio ZERO.
Oggi, dopo i drastici tagli lineari alla spesa pubblica effettuati dai governi Berlusconi e Monti, non ci sono soldi per completare l’ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria; per la SS106 neppure quelli per cominciare. Però abbiamo i treni tagliati e gli aeroporti declassati. Si sta smantellando la sanità pubblica e la rete ospedaliera esistente, in nome di una improbabile razionalizzazione cui dovrebbe seguire la costruzione dei nuovi ospedali, di cui però non si vede l’ombra. Il trasporto pubblico locale è ridotto ai minimi termini
La Calabria, quindi, sta pagando un prezzo altissimo alla crisi; in termini di sofferenza attuale ma soprattutto in termini di chiusura di ogni prospettiva: la crisi uccide la speranza, la crisi spegne la fiducia nel futuro.
Viene spontaneo chiedersi come sia potuto accadere tutto ciò, soprattutto alla luce del fatto paradossale che se la massa finanziaria dei programmi di sviluppo nazionali ed europei degli ultimi venti anni fosse stata distribuita procapite alle famiglie della Calabria, saremmo tutti nababbi.
E’ evidente che la massa finanziaria in questione non è stata impiegata per lo start up di imprese economicamente credibili capaci di innescare il ciclo della riproduzione del capitale, o per le infrastrutture necessarie allo sviluppo. Essa è finita, piuttosto, nelle mani e nelle tasche di soggetti classificabili come “prenditori” invece che imprenditori; questi hanno razziato le risorse nella più lampante illegalità lasciando dietro di sé solo macerie.
Se si analizza attentamente la vicenda della dilapidazione degli “aiuti” al Mezzogiorno , appare chiaro che non può essere solamente classificata come mero fatto criminale. Essa è piuttosto il risultato finale di precise scelte politiche a loro volta prodotte da specifiche dinamiche di classe. Insomma, siamo di fronte alle politiche messe in campo dall’ alleanza tra il blocco reazionario del nord – espressione politica del grande capitale finanziario, industriale, energetico, agricolo – ed il blocco reazionario meridionale che vede coinvolte le classi sociali emergenti, forze economiche, pezzi di ceto politico trasversale e la nuova forma delle organizzazioni criminali. Questo nuovo blocco storico sta fagocitando da decenni le risorse esogene ed endogene della Calabria e del Mezzogiorno ed ha imposto il modello di non sviluppo appena illustrato, un modello in cui l’impiego dei capitali – sia pubblici che privati – è viziato “ab origine”: qui non si investe per “intraprendere”, ma per speculare. I soggetti protagonisti non operano nell’ottica dei tempi di ammortamento lunghi, tipici dell’”intrapresa”, bensì del lucro immediato. Non è un caso che in Calabria la massa più consistente di investimenti privati si sta concentrando nel settore energetico con la partecipazione a pieno titolo della ndrangheta.
La ‘ndrangheta oggi si configura come soggetto sociale autonomo in grado di intervenire direttamente nelle dinamiche economiche, non più per tramite come una volta. Essa è uno dei soggetti che costituiscono il blocco di potere di cui abbiamo appena detto, al pari di una classe sociale. In Calabria è la ndrangheta che gestisce l’ intricato groviglio di interessi economici, legali ed illegali, che fanno da cemento per l’unità del blocco in questione.
Quella appena proposta è una chiave di lettura certamente non esaustiva, ma spiega in larga misura le dinamiche di potere nel Mezzogiorno e nella Calabria. Da qui all’affermazione che in Calabria la lotta alla ndrangheta è un passaggio della lotta di classe, il passo è breve. A chi dovesse scandalizzarsi dell’azzardo, rammento le storie di vita e di lotta di comunisti come Giuseppe Valarioti da Rosarno e Giovanni Lo Sardo da Cetraro.
Qualcuno sostiene che il progetto della Rivoluzione Civile rischia di appiattirsi sul profilo monotematico della lotta alla criminalità e per l’affermazione della legalità. Personalmente non sono di questa opinione. Tuttavia, da comunista meridionale e calabrese, ritenendo – per le ragioni sopra esposte - che in questa parte del paese la lotta ai poteri criminali si configura come momento fondamentale della lotta di classe, non sono dispiaciuto se su questo aspetto della piattaforma programmatica comune della lista Rivoluzione Civile si calca un po’ la mano. Sul resto, chi più ha più metta!