di Carmine Gazzanni
Silvio Berlusconi continua ad occupare tutti i canali televisivi saltando da una rete all’altra (ma il copione, sempre lo stesso, non sta dando i risultati sperati); Mario Monti è ormai un politico a tutti gli effetti (di quelli da evitare) e lancia insulti e offese a destra e a manca; Pier Luigi Bersani, forse cosciente di una vittoria al momento scontata, se ne sta acquattato per non rischiare di aprir bocca e perdere voti; Beppe Grillo preferisce la strada dell’insulto facile a Giovanni Favia confondendosi, suo malgrado, con la bassa politica degli ultimi giorni.
Il teatrino insomma è ricominciato. Più basso che mai.
Da Monti che insulta Berlusconi dandogli del “pifferaio magico”, allo stesso Cavaliere che risponde per le rime (“Che farà ora? Mi tasserà anche il piffero?”). Fino ai grillini che, per insultare l’ex Favia, ricorrono addirittura ai gretti mezzucoli della storpiatura dei nomi (da Ingroia a Ingoia). Non è il Bagaglino (anche se sarebbero stati tutti molto all’altezza). Più semplicemente è il palcoscenico politico italiano. Offese, battutine squallide, attacchi ad personam. Ma nel concreto nulla. Niente di niente. Si preferisce offendere. Un ottimo sistema per celare la mancanza di contenuti.
E, d’altronde, il basso livello politico che sta caratterizzando quest’inizio di campagna elettorale è evidente anche leggendo l’ultimo sondaggio registrato da Ibi media. In pratica tutti i partiti stanno perdendo fette importanti di percentuali. Scende il Pd pur rimanendo ben ancorato al posto di primo partito d’Italia (32,4 per cento, meno 2 rispetto alla precedente rilevazione); cala pesantemente il Movimento 5 Stelle (meno 4,5 per cento; ora è al 12 per cento). Perdono anche Sel, Udc e Lega Nord, tutti circa un punto percentuale in meno.
E il partito di Silvio Berlusconi? Lievemente in crescita: secondo i dati il consenso intorno al Cavaliere, grazie alle sua comparsate televisive, è cresciuto di due punti e mezzo (ora è al 18,4 per cento). C’è però da dire come questo risultato, in realtà, non sia affatto positivo: è fisiologico che il Pdl vada incontro ad una crescita. Non si può negare d’altronde che ci sia un fondo di verità nell’immagine secondo la quale l’Italia è un Paese fondamentalmente di centrodestra. È dunque impensabile che la coalizione del Pdl rimanga sotto il 20 per cento. Gran parte dell’ex elettorato berlusconiano è andato a rinfoltire la schiera di coloro che si asterrebbero dal voto , altri sono emigrati nel Movimento 5 Stelle, altri ancora (pochi per la verità) hanno preferito la sobrietà del professore della Bocconi.
ingroia-770x577Fatto sta che, con il ritorno del Cav, non è affatto da escludere che gli ex decidano di tornare alla casa madre. Ecco i motivi per cui Silvio Berlusconi vola di rete in rete: bisogna essere sempre presenti, fino alla noia, per recuperare voti. La strategia del Silvio bombing, però, non sta dando i risultati sperati: il Pdl è cresciuto di poco, la base leghista non condivide la scelta del vertice di allearsi con Berlusconi. In più, ormai, è quasi certo che entro la fine del mese arriverà anche la sentenza per il processo Ruby. Insomma, non è da escludere che tutte queste variabili possano giocare un brutto tiro al Cavaliere. Ecco perché, però, bisogna stare molto attenti: è facile che Berlusconi stia già studiando, col suo team capitanato da Paolo Bonaiuti, un colpo a sorpresa, un asso nella manica per ribaltare – così come fatto con l’ormai famosa letterina a Marco Travaglio – il tavolo del confronto.
Al momento, però, stando ai sondaggi, l’unico che si salverebbe dal mare magnum (et foetidum) della politica italiana è Antonio Ingroia. Il leader di Rivoluzione Civile, infatti, si attesterebbe al 5,2 per cento, il doppio di quanto prenderebbe Casini (3,4), ben oltre la Lega Nord (5) e Sel (4,1) e a soli quattro punti di distanza da Mario Monti (9 punti percentuali per il professore).
La partita, insomma, è tutt’altro che chiusa. Mai nessun partito, alla prima rilevazione, era arrivato a tanto. Nemmeno Beppe Grillo. Il motivo di un così inaspettato consenso va ricercato senz’altro nella linea diversa (e, contrariamente a quanto si dica, questa sì realmente politica) adottata da Ingroia. Facili offese lasciate agli altri, poche perdite di tempo e attenzione ai problemi, quelli veri, quelli reali, quelli sentiti dai cittadini. Nessuna letterina, nessun pifferaio, nessuno slogan di cattivo gusto lanciato sul web per screditare l’amico di ieri solo perché ha fatto un’altra scelta e ora si ha paura possa rubare voti. Ma, invece, tanta concretezza. Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui tanto il Pd quanto il M5S hanno cominciato a bersagliare a più non posso il magistrato sceso (o salito) in politica. Ognuno con i suoi mezzi: Beppe Grillo ricorrendo alla comicità (quella bassa, non da lui), i democratici chiedendo, come emerso ieri, un passo indietro al Senato perché si rischierebbe di non avere i seggi giusti per governare tranquillamente.
Ingroia, insomma, comincia a far paura. Anche e soprattutto per la squadra che sta mettendo su. Dopo i primi nomi di Franco Latorre, Gabriella Stramaccioni e Flavio Lotti, gli ultimi sono quelli di Giovanni Favia, di Sandro Ruotolo, di Ilaria Cucchi (la sorella del giovane Stefano morto in carcere dopo i maltrattamenti subiti il 29 ottobre 2009), dell’operaio Fiom di Pomigliano D’Arco Antonio Di Luca e di Mario Riccio, il dottore che accompagnò la morte di Piergiorgio Welby, divenuto simbolo nella lotta contro l’accanimento terapeutico. Scelte ponderate. Ognuno di questi candidati rappresenta un simbolo, una lotta civile, politica e sociale.
Perlomeno, dunque, c’è questo: Ingroia ha ben chiaro quali saranno le sue battaglie. Difficilmente si potrebbe dire lo stesso di Bersani, Berlusconi o Monti. Cosa farebbero i tre per risolvere la questione del sovraffollamento carceri? Non si sa. Ingroia – e la candidatura di Ilaria Cucchi è eloquente – un’idea ce l’ha. Quale atteggiamento avere nei confronti dell’accanimento terapeutico? Dei tre non si sa.
Ingroia – e la candidatura di Riccio è eloquente – un’idea ce l’ha. Cosa fare sul tema del lavoro? Dei tre non si sa (lo stesso Monti ieri, dopo averla tanto difesa, ha detto che la riforma Fornero potrebbe essere cambiata).
Ingroia – e la candidatura di Antonio Di Luca è eloquente – un’idea ce l’ha.
E si potrebbe andare avanti ancora per molto.
da www.infiltrato.it