Di Paolo Leon
Il povero Tobin, già ammirato e insultato in vita, sarebbe stupito dalla natura simbolica che ha assunto la sua proposta di tassare le transazioni finanziarie internazionali. Non sarebbe stupito invece per le reazioni inconsulte dei responsabili dei mercati finanziari, anche perché sapeva di non aver proposto un simbolo, ma uno dei metodi per regolare i flussi dei mezzi di pagamento, che poi doveva far parte di un sistema più complessivo.
Tuttavia, nel nostro Continente, anche la sua "modesta proposta" è la via per allontanare l'altrimenti inevitabile distruzione dell'Unione europea.
Il meccanismo è noto, ma lo ricordo ancora una volta: le transazioni finanziarie, dopo la grande deregolamentazione del deprecato duo Thatcher-Reagan dei primissimi anni '80 e la liberalizzazione dei flussi internazionali dei capitali, si sono moltiplicate fino a rappresentare un volume che supera, se conto bene gli zeri, qualcosa come seicento volte il Pil italiano, soltanto per i derivati. La ragione di questa smisurata crescita sta nella possibilità, facilitata dall'informatica, di comprare e vendere grandi quantità di titoli di ogni sorta in ogni parte del mondo per profittare anche di piccolissime variazioni negli indici e nei prezzi: basta un qualche centesimo di punto, moltiplicato per un grande volume di titoli, per giustificare acquisti e vendite. Per capirlo, basta immaginare una vendita di titoli per 100 milioni di $ al momento iniziale, nella prospettiva di guadagnare cento mila dollari ricomprandoli dopo un paio di secondi: rispetto al tempo un guadagno enorme, ma rispetto alla cifra iniziale un guadagno dello 0,1%, e una tassa corrispondente a questa percentuale di guadagno, annullerebbe la transazione.
Siccome si può anche speculare allo scoperto (senza titoli, ma con la promessa di acquistarli o venderli), non c'è nemmeno bisogno di grandi capitali nelle mani di chi effettua le transazioni per guadagnare molto da quelle piccole differenze di valori. È chiaro che la massima parte di queste transazioni non porta frutti all'economia: pochi, e solo nei redditi delle società finanziarie, nelle sedi dei mercati (New York o Londra), pochi per il resto del mondo. Queste transazioni, infatti, non determinano necessariamente investimenti, fabbriche o uffici, merci o servizi: si scambiano titoli già esistenti, non titoli nuovi rappresentativi di vere attività economiche e, magari, portatrici di nuova occupazione.
So di esagerare, perché una parte di questi flussi è stata investita nei Paesi emergenti, e lì ha creato un'immensa nuova ricchezza reale, nuovo reddito, nuova occupazione. Ma è proprio questo il punto: nessuno (nemmeno dopo la grande crisi del 2007-2008) ha voluto regolare i flussi internazionali di capitale distinguendo le bolle speculative, le speculazioni allo scoperto, le transazioni di brevissimo periodo, dai flussi di capitale destinati a nuovi investimenti. La Tobin tax (0,1% e per qualche titolo meno pericoloso lo 0,01%) serve proprio a costruire questa distinzione: le transazioni fondate su un tasso di profitto atteso da investimenti effettivi pagherebbero una tassa insignificante rispetto a quel tasso di profitto e non sarebbero scoraggiate, mentre le transazioni fondate su un guadagno momentaneo perderebbero la loro convenienza. Non è il rendimento della tassa che conta: se funziona e scoraggia la speculazione, il rendimento sarà basso, e ciò descriverà il suo successo.
Si è sostenuto che una tassa del genere in un solo Paese o nell'Unione europea frenerebbe l'accesso di capitali: ma è invece questo il beneficio della tassa, perché è come una rete che lascia passare gli investimenti "bona fide" e frena quelli meramente speculativi. È vero che della speculazione c'è sempre bisogno, altrimenti non potremmo operare per evitare scarsità o eccessi sui mercati; ma di questa speculazione certamente non abbiamo bisogno. Anzi, se l'Unione dovesse adottarla, la tassa avrebbe l'effetto di rafforzare le piccole borse europee, facendo dimagrire quelle anglosassoni. Ancora più importante, una volta messa in atto la Tobin tax, e supponendo che funzioni, l'Europa potrebbe riconoscere l'errore estremo di aver creato una inutile banca centrale, senza poteri di emissione, e un sistema bancario fatto di imprese private che prestano sulla base del proprio capitale (contribuendo così alla speculazione finanziaria), anziché società di servizio pubblico, che prestano sulla base dei depositi che ricevono dalla loro stessa attività di prestito (il moltiplicatore dei depositi).
Prima o poi, l'Europa dovrà adottare la Volker rule, che separa le banche di credito ordinario, che non hanno bisogno di nuovo capitale per aumentare i prestiti, dalle società finanziarie, che invece debbono vendere obbligazioni in borsa. E una tal riforma, certo non piccola dopo anni di follie bancarie, può passare se l'Unione è protetta dalla Tobin tax. Il buon Tremonti non l'aveva capito...
Da L'Unità 11 Gennaio 2012