Redazionale
Col governo si tratta, ma c’è un limite che non si può superare: l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, per la Cgil, non si tocca. «Non è negoziabile», scrive il documento approvato l’11 gennaio dal direttivo del sindacato con l’86,5% dei voti (ha preso invece il 13,5% dei voti il testo presentato dalla minoranza interna “La Cgil che vogliamo”). «Siamo seriamente interessati a fare un accordo col governo, ma sarà il merito a decidere», ha dichiarato Susanna Camusso. E il merito, secondo il documento approvato dal parlamentino di Corso d’Italia, è molto preciso.
Due le priorità. Primo, una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, che miri a estendere le tutele, dando una prima risposta all’emergenza occupazione. Sulla questione la Cgil aveva già presentato, nel 2010, una proposta articolata (reperibile qui) che prevede due pilasti: la cassa integrazione, che permette la conservazione del posto di lavoro, estesa a tutti i settori produttivi (oggi quella straordinaria è riservata solo alla grande industria); e l’indennità di disoccupazione, aperta a tutti, più lunga e più “ricca” (la Cgil propone di elevare di molto i massimali). Secondo la proposta del sindacato, la riforma – scritta intorno alle linee guida stabilite nel 2007, quando il Parlamento approvò una legge delega mai esercitata dal governo – ha costo quasi zero per le finanze pubbliche. Si finanzia, quasi esclusivamente, con l’aumento delle aliquote assicurative, pagate dalle imprese nelle buste paga.
La seconda proposta della Cgil è la riforma del mercato del lavoro: via molte delle tipologie precarie introdotte dalla legge Biagi nel 2003 e aumento delle aliquote contributive sul lavoro atipico, in modo che la precarietà costi alle imprese più del lavoro stabile. Nessuna flessibilità, per la Cgil, sull’articolo 18, come previsto dalle diverse proposte del Partito democratico: quelle più liberiste (Ichino, che cancellerebbe del tutto il diritto al reintegro in caso di licenziamenti senza giusta causa); così come quelle di Nerozzi e Damiano (che aumenterebbero fino a tre anni il periodo di non applicazione dell’articolo 18).
A sostegno della sua piattaforma, la Cgil organizzerà assemblee in tutti i luoghi di lavoro. Ma niente scioperi, almeno per ora. Nonostante lo sgarbo della ministra Fornero, che sulle mal digerita riforma delle pensioni di dicembre non ha mai convocato le parti sociali.
Sullo sfondo, la possibilità di ritrovare l’unità con Cisl e Uil. Per i segretari della triplice è previsto un incontro in questi giorni. Negli ultimi anni il rapporto con gli altri sindacati confederali è stato, per la Cgil, a dir poco nervoso. Accordi separati, accuse reciproche, scontri al calor bianco. Ora, col nuovo esecutivo e dinanzi a una crisi occupazionale che si fa sempre più pungente, sembrano tornare le condizioni per una posizione unitaria, almeno sugli ammortizzatori sociali. A meno che il governo non riprenda la pratica dell’ex ministro Sacconi: giocare a dividere il sindacato, isolando la Cgil. Una scelta che avrebbe conseguenze politiche molto delicate per lo stesso governo. Minando gravemente l’unità del Partito democratico (diviso tra filo Cgil e sostenitori della proposta Ichino) e il suo sostegno all’esecutivo.
Molto più duro, su unità sindacale e dialogo col governo, il testo bocciato dal direttivo, presentato dalla minoranza di sinistra “La Cgil che vogliamo”, guidata dall’ex segretario della Fiom Gianni Rinaldini, che chiedeva alla Cgil di impregnarsi da subito in un’ampia mobilitazione contro la manovra del governo e di mettere al centro della proposta l’estensione dell’articolo 18 anche alle imprese sotto i 15 dipendenti.