di Joseph Halevi

120115bcePassate le vacanze, il valzer ricomincia. Questa volta però la motivazione del declassamento di una serie di paesi, tra cui la Francia, della zona dell'euro da parte di Standard and Poor's contiene un'analisi giusta. Citiamo la parte essenziale che si riferisce all'accordo del vertice europeo del 9 dicembre scorso. «Crediamo - recita la nota di S&P - che l'accordo si fondi solo su un riconoscimento parziale circa la radice della crisi, cioè che l'attuale turbolenza finanziaria origini principalmente dalla stravaganza fiscale dei paesi alla perferia dell'eurozona.

Tuttavia, a nostro avviso, i problemi finanziari che incombono sull'eurozona sono egualmente dovuti alla crescita degli squilibri esterni (nei conti esteri, ndr) e alla divaricazione nella competitività tra il centro dell'eurozona e la cosiddetta periferia. Pertanto crediamo che un processo di riforma basato unicamente sul pilastro dell'austerità fiscale rischia di sconfiggersi da solo nella misura in cui la domanda interna si adegua alle crescenti preoccupazioni dei consumatori riguardo la sicurezza dell'occupazione e del reddito disponibile, erodendo in tal modo il gettito fiscale del paese in questione».
Chiarissimo. È quanto vado scrivendo sul manifesto dalla manovra di Tremonti in poi: le politiche di riduzione del debito aumentano la crisi fiscale. In Germania, Monti ha dovuto accettare questa realtà riconoscendo che la sua politica non può riuscire rilanciando, con autorità e dignità, la palla nel campo tedesco. Il re è dunque nudissimo e bisogna agire di conseguenza riformulando i criteri di valutazione della spesa pubblica, in modo da mettere in cantiere simultaneamente sia politiche di espansione occupazionale e del salario che di risanamento ambientale e idrogeologico. Bisogna inoltre mettere sul piatto europeo la questione degli squilibri esterni nel modo in cui li aveva pensati Keynes nei negoziati di Bretton Woods, venendo poi sconfitto dal governo di Washington. Si deve cioè creare un meccanismo di compensazione tale da evitare che l'aggiustamento dello squilibrio ricada sui paesi più esposti, con maggiori deficit esteri, come la Spagna, la Grecia, la Francia e l'Italia, altrimenti non si arresta la corsa alla recessione.
È necessario rimettere radicalmente in discussione l'impianto istituzionale finanziario europeo e riprendere una vecchia idea di Angela Merkel: la creazione di un'agenzia di notazione europea pubblica, proposta lanciata nel giugno 2008 solo per far colpo perché da Bruxelles alla European Banking Authority tutto è stato fatto per subordinare le politiche economiche europee alle esigenze instabili e incoerenti dei mercati finanziari. Queste sono le condizioni minime, in effetti liberali, per non continuare a cadere sempre più in basso.

il Manifesto 15 Gennaio 2012

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