festival-di-sanremo

 di Stefania Brai*

 "Una collettiva perdita di senso": così intitola Curzio Maltese il suo articolo su Repubblica. È un'affermazione – e un articolo - che condivido quasi interamente. La vicenda "Celentano" ha messo in luce non solo cosa è diventata la Rai in questi ultimi 15-20 anni ma anche il livello della sua classe dirigente e in generale della classe politica di questo paese...

Non entro nel merito di quel discorso, non ne condivido quasi nulla nella forma e nella sostanza ma ritengo ovviamente che nessun pensiero possa essere censurato. Per inciso: a nessun dirigente della Rai, a nessun membro del Cda del servizio pubblico radiotelevisivo è venuto in mente di scusarsi pubblicamente e di rettificare le affermazioni di Fazio a "Che tempo che fa" su Rifondazione comunista che non esiste più. Come a nessuno, neanche alla Commissione di vigilanza, è venuto in mente di chiarire le ragioni vere del no della Consulta ai referendum elettorali e di come non si sia trattato di lesione della sovranità popolare ma invece esattamente difesa della democrazia e delle garanzie costituzionali. Ma non è questo il punto, a mio parere.

Siamo diventati un paese in cui prevale un senso comune fondato sull'antipolitica, sul populismo e sulla personalizzazione estrema: dai "santoni" alla Celentano ai "soliloqui" di Saviano, ai "tecnici" che devono governare tutto (qualunque sia la loro professionalità) . E nella costruzione di questo senso comune la Rai, non più servizio pubblico ma a servizio di pochi, svolge un ruolo importantissimo.

Qui è il punto. La vicenda Sanremo è stata presa a pretesto da tutti, proprio tutti, per fare fuori quelle poche regole ancora rimaste arrivando perfino a commissariare – su richiesta del Vaticano e dei poteri forti - una trasmissione televisiva e a farlo senza essere colti dal dubbio del ridicolo. Ed è il pretesto che Monti aspettava per poter mettere le mani sulla più grande industria culturale del nostro paese riformandone solo la "governance" per portarla direttamente e definitivamente sotto il controllo dei partiti e del governo. L'idea di Monti è infatti quella di un cda formato da cinque membri: due (tra cui il presidente) di nomina governativa, uno del Pdl-Lega, uno per il centro sinistra, uno per il terzo polo. Ovviamente anche il direttore generale verrebbe nominato dal governo. La modernità invocata anche da tutto il centro sinistra vuol dire esattamente ritorno alla Rai prima della Riforma del '75.

Non è di questo che la Rai ha bisogno, non è di questo che il paese ha bisogno. Occorre una riforma che rompa definitivamente l'assalto partitico al servizio pubblico aprendo la sua gestione alle forze sociali e culturali; una riforma che abbia il suo asse centrale in un pluralismo fondato non sulla spartizione dei partiti ma sulla pluralità delle voci e delle culture che sono la nostra ricchezza più grande; una riforma che consenta alla Rai di tornare non solo a raccontare ma a rappresentare il paese reale.

*Resp. naz. cultura Prc

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