Confezionamento

di Sara Picardo

"La fabbrica siamo noi operai! Non il padrone. È nostro il lavoro che l'ha sempre mandata avanti. Questa fabbrica è nostra e ce la possiamo riprendere"...

Inizia così il tour che le operaie e gli operai dell'Esplana Sud ci fanno fare all'interno dello stabilimento che occupano dal 5 novembre del 2011. Un capannone di 5mila metri quadri coperti e oltre 8mila scoperti, l'Esplana Sud di Nola, una delle aziende campane più floride, impegnate nella produzione di imballaggi e imbustamento di alimenti freschi come verdure e ortaggi di vario genere e fornitrice dei supermercati Coop. Finocchi, melanzane, peperoni, mele, pesche. Attività fiorenti, conti in attivo. Commesse a bizzeffe. "L'Esplana – ci dicono con orgoglio gli operai – è l'unica in Italia ad avere un laboratorio di controllo interno. Un'eccellenza nel settore".

Nonostante tutto, i soci proprietari hanno dichiarato fallimento a ottobre del 2010 e per 120 lavoratori è cominciato il calvario della cassa integrazione che finirà il 28 marzo prossimo. "Non rimarremo con le mani in mano, abbiamo deciso intanto di occupare lo stabilimento per non subire furti, visto che già son venuti e hanno portato via alcuni muletti. Poi un ingegnere ci sta preparando un piano per riaprire le produzioni. Se non si fa avanti un compratore, ci costituiremo in cooperativa e ricominceremo a produrre. La Coop ci ha detto che continuerà a ordinare da noi".

A parlare è Gino, uno degli oltre 30 lavoratori che a turno dormono e vivono nella fabbrica. È un po' il portavoce del gruppo, e per primo ci mostra il laboratorio di analisi. "Ne siamo fieri", dice. E guardandolo si capisce il perché. Sembra di essere in una clinica. Tutto è ricoperto di polvere, ma ben tenuto. Gli uffici seguono sui due lati di un lungo corridoio. Sedie nuove, tavoli e carte ancora lì, abbandonati come per un terremoto improvviso. E proprio di un avvenimento improvviso si è trattato a sentire i racconti dei lavoratori: "Il 5 maggio 2010 è stato il nostro ultimo giorno di lavoro", raccontano, "da una settimana avevamo visto che c'erano problemi nella normale fornitura di ortaggi e verdure. I fornitori non erano stati pagati e la Coop sollecitava le consegne. A un certo punto è arrivato qualcuno e ci ha detto di chiudere le macchine. Eravamo falliti. Si chiudeva. Siamo rimasti impietriti. Non ci potevamo credere".

Carmine lavora all'Esplana da 30 anni. È stato assunto quando l'azienda aveva ancora sede a San Giorgio a Cremano, il paese natale degli Esposito, la famiglia proprietaria degli impianti. Ha moglie, figli e mutuo. Come tanti suoi colleghi e colleghe. "La mia famiglia non vuole sapere dove vado e quello che faccio. Sta male. Non capisce. È preoccupata per me e per il nostro futuro. Non condivide l'occupazione. Ma io se resto a casa sono morto. È l'ultima cosa che mi rimane da fare. Nessuno mi assumerebbe a 53 anni".

La media dei lavoratori è 45-47 anni di età. L'aveva calcolata Gino qualche anno prima per un'altra questione. L'Esplana produce da 40 anni e molti di loro sono dentro dall'inizio. Hanno messo su famiglia contando su un lavoro sicuro, che al Meridione a volte è quasi un miraggio. "Questo era il fiore all'occhiello dell'agroalimentare", dice con orgoglio Giorgio, da 13 anni all'Esplana. "Ricordo ancora la data della mia assunzione, 23 aprile". Giorgio sa aggiustare ogni macchinario che vediamo, li ha provati tutti, i suoi colleghi dicono che ha le mani d'oro. Era lui che chiamavano quando c'era qualche guasto. Mentre scendiamo le scale lo spettacolo che si para davanti è imponente e triste, fa stingere lo stomaco: macchinari nuovi e impolverati, lunghe catene di imballaggio bloccate ancora con l'ultima fila di contenitori pronti da riempire e imbustare.

Quando camminiamo tra il ferro e la polvere, il silenzio amplificato dagli alti capannoni è interrotto solo da Gino, che accarezza ogni macchinario e ce ne spiega il funzionamento come un ricordo: "Qui selezionavamo i finocchi. Questa serve per imbustare al frutta. Quest'altra pesa con precisione e divide in cassette... In queste due grandi celle stazionava la frutta e verdura in attesa di essere selezionata. È molto importante per non far rovinare la merce che in alcuni casi arriva dalla Sicilia". Sanno tutto, conoscono ogni bullone e si capisce che soffrono da come guardano lo spazio che un tempo gestiva e accoglieva le loro ore di lavoro. Si prendevano cura del prodotto e amavano tutti quello che facevano. Lo dicono con fierezza.

L'altro capannone rimbomba ancora più del silenzio dei passi. Capiamo che i ricordi hanno preso il sopravvento e si preferisce tacere. La seconda parte del racconto la lasciamo alla mensa che hanno adibito a riparo della notte in questi mesi di occupazione. "Senza le donne non avremmo mai fatto tutto questo. Sono loro che hanno organizzato tutto, che lo organizzano tutt'ora. Sono la nostra forza". Seduti tutti intorno a un tavolo. La cucina economica che bolle acqua e i materassi arrotolati in un angolo ad attendere la notte. Sono tutti lì i circa 30 lavoratori che si gestiscono i turni. Gli altri sono a casa. Qualcuno cerca un altro lavoro. Altri sono depressi, hanno rinunciato. La frase che ripete più spesso chi ha scelto di occupare, spesso anche con la famiglia contro è come un mantra ripetuto per darsi forza: "Stando a casa sei già morto".

Nel 2009 l'Esplana ha fatturato ben 3 milioni in più rispetto al 2009. "Poi i soci hanno cominciato a comprare dai fornitori anche a prezzo di vendita", spiega sempre Gino. Ogni socio aveva il proprio fornitore con cui prendeva accordi. "Alla Flai Cgil è già arrivata la lettera del licenziamento collettivo, ora aspettiamo quelle individuali", spiegano. "Quando il 5 maggio 2010 sono arrivati a dirci che non c'erano più soldi per pagarci noi l'avevamo già capito", prosegue Gino, che tra tutti è quello che mostra di essere il più politicizzato, quello che parla di lotta di classe dandogli un senso con l'esempio del proprio lavoro. "Fin dal primo giorno per me è stata chiara la soluzione: il 95 per cento dell'attività produttiva la facevamo noi dipendenti. I padroni facevano solo il 5 per cento. Quindi se era così, noi, i più numerosi, potevamo far ripartire gli impianti, gestendoci attraverso una cooperativa lavoro. Ora aspettiamo solo che l'ingegnere ci consegni il piano industriale".

Il 60 per cento degli operai è donna. Giulia, 56 anni. Carmela, 37. Elena 40. Sono silenziose ed è difficile capire come vivono la perdita del lavoro. Preferiscono fare, più che parlare. Aspettano in silenzio che si esauriscano le domande e sanno già quale sarà il lavoro dei prossimi giorni. Mandare avanti la fabbrica fino a che non ritornino le commesse che la Coop assicurava all'Esplana. Nel frattempo si sono divisi in gruppi: c'è quello del tesoriere, quello dei contatti con l'esterno, quello che gestisce i turni di riposo e cucina, quello che deve cercare la benzina per il generatore - che costa 20 euro al giorno ed è assicurata anche dalla solidarietà del Comitato che si è formato a Nola tra diversi soggetti, dalla Cgil a Rifondazione – e infine c'è quello che si occupa delle domeniche, quando la voglia di tornare in famiglia e abbracciare i figli è più forte.

Le loro famiglie non sempre capiscono quella scelta così coraggiosa e pazza di andare ad occupare, soprattutto per una donna. L'entrata e l'uscita di casa è sempre in silenzio. In punta dei piedi. Con lo sguardo fisso dei propri cari addosso. Le parole tornano solo una volta arrivati in fabbrica, come a darsi forza: "siamo noi quel 95% che ha sempre mandato avanti la fabbrica. E siamo noi che la faremo ripartire".

Da rassegna.it 24/02/2012

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